giovedì 8 dicembre 2011

Quando Gabriella Carlucci salvò il mondo

Chi salverà l’euro dai suoi salvatori?
Guaritori, cerusici e sciamani si affollano da mesi attorno al capezzale del moribondo, dividendosi più o meno in tre gruppuscoli.
C’è chi sostiene che per salvare l’euro bisogna amputare le estremità in cancrena, dando vita di fatto ad una nuova lega anseatica aperta alla Francia (finché dura).
C’è chi sostiene che la Banca Centrale Europea o chi per lei dovrebbe garantire per l’intero debito pubblico europeo. Se le difficoltà dell’Italia (per esempio) spaventano i possibili acquirenti dei BOT, la garanzia che al rimborso penserà l’Unione Europea dovrebbe tranquillizzarli. In cambio, occhiuti ragionieri tedeschi passeranno al setaccio la spesa pubblica dei paesi “spendaccioni”, di fatto commissariandoli.
Non avendo ancora capito se pendere di qua o di là, i politici europei si limitano a stare seduti sulla riva del fiume, facendo pagare il pedaggio ai cadaveri trascinati dalla corrente. Quando c’è da rimborsare i debiti, si sa, non si guarda troppo per il sottile.
Sembra che alla radice ci sia un difetto genetico. L’euro sarebbe nato con una sola gamba. E’ una moneta unica che ha lo stesso valore in 17 paesi, ma questi 17 paesi hanno ciascuno una diversa politica economica e differenti regimi fiscali. Gli Stati uniti, per esempio, sono peggio indebitati di noi europei, ma nessuno si permette di attaccare il dollaro.
Se qualcuno si azzardasse a pretendere interessi troppo elevati sui buoni del tesoro americani, con un tratto di penna la Federal Reserve potrebbe stampare dollari à gogo per svalutarne il valore. Mi hai prestato i tuoi soldi quando il dollaro valeva dieci, te li restituisco adesso che vale sei. E grazie per il disturbo.
In Europa non si può. Svalutare l’euro può convenire oggi all’Italia ma non alla Germania; domani potrebbe convenire alla Francia ma non al Lussemburgo e così via. Per capire cosa questo significhi non c’è bisogno di una laurea in economia. Basta avere partecipato ad una riunione condominiale.
C’è chi i castelli li costruisce con la sabbia, chi lo fa con le banconote. Con una differenza: la sabbia è molto più affidabile.
Pensate davvero che basti un po’ d’ingegneria monetaria per risolvere i problemi dell’economia? Che il mondo sia in recessione per colpa dell’euro, la cui salvezza a sua volta dipende dall’Italia?
E’ quello che qualche giorno fa ha dichiarato la Merkel: “Il destino dell’euro è nelle mani dell’Italia”.
E’ davvero così? Davvero le sorti dell’euro e dunque del mondo dipendono dall’innalzamento dell’età pensionabile degli italiani o dall’introduzione del pedaggio sulla Salerno – Reggio Calabria?
Vi ricordate gli ultimi giorni del governo Berlusconi? Il Time pubblicò un’ormai celebre copertina con la foto del Berlusca e un titolo che diceva: “L’uomo che sta dietro la più pericolosa economia del mondo”.
Trovai davvero divertente quella copertina, che riassumeva il pensiero di gran parte delle cancellerie mondiali. Mi divertì perché in quegli stessi giorni i giornali italiani erano in piena fibrillazione per il toto-sfiducia, e sembrò ad un certo punto che le sorti del governo dipendessero da Gabriella Carlucci.
Il sillogismo che ne risultava era il seguente: se le sorti del mondo dipendono dalla cacciata di Berlusconi e se la cacciata di Berlusconi dipende dal voto di Gabriella Carlucci, ergo le sorti del mondo dipendono da Gabriella Carlucci.
*****
A stupire, in tutto questo, è l’ipocrisia.
Il debito pubblico italiano è di circa un miliardo e 880 milioni di euro. In dollari fa più o meno 2 miliardi e mezzo.
In giro per il mondo ci sono 220 miliardi di miliardi di asset finanziari, 150 dei quali sotto forma di debiti (centocinquanta miliardi di miliardi).
Il prodotto interno lordo di tutti i paesi del pianeta supera di poco i 50 miliardi di miliardi di dollari (i dati sono tratti dall’Observer del 7 agosto 2011).
Se ci sono dei debiti ci saranno anche dei crediti, naturalmente, il che significa che se i creditori andassero tutti insieme all’incasso l’intero pianeta non basterebbe a ripagarli. Oltre alla Terra bisognerebbe dar loro Venere e Marte.
Rendo l’idea?
La sfida che oppone oggi gli abitanti della Terra (e di Venere e di Marte, se esistono) è quella di sgominare la banda di usurai che li tengono in ostaggio.
Nel 1850 Karl Marx scrisse “Le lotte di classe in Francia tra il 1848 e il 1850”. In un passo sembra di leggere una cronaca contemporanea: “Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale dell’arricchimento [dell’aristocrazia finanziaria]. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli”.
Come sia stato possibile che questo accadesse, ovvero che gli Stati del pianeta divenissero ostaggio di una “aristocrazia finanziaria” che oggi non è più solo francese ma mondiale, è noto a tutti. Liberalizzazioni, eliminazione di ogni controllo sulle attività finanziarie, smantellamento sistematico dei diritti sindacali, tagli alla spesa pubblica, politica economica ceduta al mercato con delega in bianco.
Tutto questo ha significato la più colossale redistribuzione del reddito della storia dell’umanità [Vedi nota 1]. Una redistribuzione al contrario, però, che ha tolto ai poveri per dare ai ricchi.
Negli Stati uniti, per esempio, dove tutto è cominciato, tra il 1979 e il 2009 l’1% più ricco della popolazione ha visto crescere i propri redditi del 275%. Il quinto più povero della popolazione del 18% (The New York Times del 26 ottobre 2011).
Per capire la differenza, tra il 1947 e il 1979 il quinto più povero della popolazione aveva visto crescere i propri redditi del 122%.
In Gran Bretagna, tra il 1999 e il 2009 (coi laburisti al governo) il decimo più ricco della popolazione ha visto aumentare la propria ricchezza del 37%. Quello più povero l’ha vista crollare del 12% (The Guardian del 7 novembre 2011).
Quel che è peggio, quando nel 2008 la favola del mercato-più-efficiente-degli-stati s’è rivelata clamorosamente falsa, i molto presunti discepoli di Adam Smith si sono trasformati in un secondo in difensori della mano pubblica. Purché la mano pubblica venisse in soccorso dei loro bilanci falsi.
Il risultato è stato l’esplosione del debito pubblico degli Stati.
Le cure suggerite dagli esperti?
Nuovi tagli, nuova riduzione del potere d’acquisto delle classi medie e medio basse, nuove privatizzazioni. Che inevitabilmente ridurranno le entrate degli Stati e di conseguenza li costringeranno a fare nuovi debiti. La redistribuzione al contrario continua. Come se nulla fosse successo.
Oggi si parla, in Italia, di aumentare ancora l’età pensionabile. Non entro nel merito, e tra un po’ vi dirò perché.
Non c’è un governo del pianeta che non si dica preoccupato per le sorti dei giovani. Questi poveri giovani, che fra 40 rischiano di non avere una pensione per colpa dell’egoismo dei loro nonni e dei loro genitori!
Sono gli stessi governi, badate bene, che quando si tratta di discutere del cambiamento climatico (come adesso, a Durban) dicono che in tempi di crisi è meglio pensare al presente. Che non si può ostacolare l’economia in nome di un incerto futuro.
Come sono strani, i governanti del mondo: si preoccupano che i loro nipoti abbiano una pensione ma non si curano affatto del pianeta che toccherà loro in sorte!
Per questo dico che non ho nessuna voglia di discutere se il sistema previdenziale italiano, dalla cui riforma sembra dipendano le sorti dell’economia mondiale, debba essere contributivo, ad angolo retto o con lo scappellamento a destra.
In un mondo così ingiusto, in cui la menzogna sistematica diventa verità, in cui la mano pubblica è moralmente accettabile solo se serve a salvare i ricchi, penso che ognuno debba difendere il proprio. Con le unghie e con i denti.
Quando la Merkel ha provato a suggerire l’introduzione di una tassa dello 0,01 per cento (ripeto: zero virgola zero uno per cento) i miliardari della City, qui a Londra, per poco non hanno minacciato di annegarsi nel Tamigi (o, meglio, di fare annegare i loro maggiordomi).
Se appena sfiori il loro portafogli perfino i miliardari protestano, perché non dovrebbero farlo gli operai o gli impiegati pubblici o gli arrotini o i raccoglitori abusivi di lumache?
L’interesse generale, il bene del paese, sono favole per i gonzi. Se ne potrà discutere quando parleremo di cose serie.
Fino a quel momento, per cortesia, risparmiateci le cavolate. Le sorti del mondo non dipendono affatto dall’Italia.
Né, tanto meno, da Gabriella Carlucci.

[Nota 1]
In un libro inglese “The Have and the Have Nots” (Quelli che hanno e quelli che non hanno), l’economista Branko Milanovic ha cercato di capire chi sia stata la persona più ricca mai vissuta al mondo. Come parametro ha usato il numero di connazionali il cui lavoro la persona in questione poteva o può comprare. Il risultato? L’uomo più ricco di sempre è il messicano, nonché nostro contemporaneo, Carlos Slim, che potrebbe comprarsi il lavoro di 400.000 suoi compatrioti. Il che lo fa 14 volte più ricco di Crasso e 4 volte più di Rockefeller.

giovedì 14 luglio 2011

C'era una volta la democrazia

Mi chiedo sempre più spesso quali siano le priorità dei mezzi d’informazione. L’altro giorno, ad esempio, ho letto un inquietante articolo del premio Nobel per l’economia Amartya Sen.
Vi si legge: “E’ oltremodo preoccupante che i pericoli per le sorti della democrazia, che s’intrufolano dalla porta di servizio delle priorità economiche, non stiano ricevendo le attenzioni che meriterebbero” (The Guardian del 23 giugno 2011).
L’articolo continua: “E’ una questione molto seria da affrontare, e riguarda il modo in cui le democrazie europee rischiano di essere minate dal peso spaventosamente elevato delle istituzioni finanziarie e delle agenzie di rating, che oggi tengono le redini della politica in alcune parti d’Europa”.
Più avanti: “Le diagnosi delle agenzie di rating sui problemi economici non sono la voce della verità che pretendono di essere. E’ bene ricordare che il ruolo di queste agenzie nel certificare la salute finanziaria delle istituzioni economiche alla vigilia della crisi del 2008 è stato così negativamente rilevante che il Congresso degli Stati uniti discusse seriamente se non fosse il caso di farle finire sotto processo”.
Amartya Sen si riferisce al peso spropositato delle società di rating nell’influenzare le scelte di politica-economica dei governi e dei parlamenti europei. Quelle stesse agenzie che nel 2008 continuavano ad attribuire la cosiddetta tripla A, ovvero il massimo della solidità possibile, a società che di lì a minuti sarebbero praticamente fallite (non fossero state salvate dalla mano pubblica).
L’articolo dell’economista indiano traeva spunto dalla crisi greca (quella italiana non era ancora scoppiata), contestando l’efficacia delle politiche di “blood, sweat and tears” (sangue, sudore e lacrime) che fino ad oggi sembrano le uniche ad essere state proposte dai governi europei.
Quello che più mi ha colpito dell’articolo di Sen è stato il silenzio che l’ha accompagnato. Qui, sui giornali inglesi (non so neppure se in Italia sia stato tradotto).
Il rischio che i paesi europei perdano la propria autonomia a vantaggio di società private che ne dettano le decisioni, a me sembrava un argomento di cui discutere. Se non parliamo di questo, del rischio che le nostre democrazie smettano di essere tali, su cos’altro dovremmo disquisire?
Facciamo un esempio, questa volta parlando di noi. Il referendum del 12 giugno scorso ha dimostrato che la stragrande maggioranza degli italiani non vede di buon occhio le privatizzazioni dei servizi pubblici. E’ questa la loro volontà, democraticamente espressa. E invece…
E invece accade che maggioranza e opposizione parlamentari, tutti insieme “responsabilmente”, per rispondere a manovre speculative sui mercati si apprestano a procedere nella direzione opposta. Ossia prevedendo ulteriori privatizzazioni.
In questa sede non discutiamo se le privatizzazioni siano o non siano giuste. Personalmente credo siano quasi sempre sbagliate, ma non è questo il punto.
Discutiamo di una cosa più importante: di democrazia.
Il tema del referendum è, come detto, un esempio. Com’è un esempio l’Italia. I cittadini di tanti, troppi paesi si trovano e si troveranno nella stessa situazione: a non avere più alcuna voce in capitolo sul proprio futuro.
Nel pieno della tempesta monetaria, quasi tutta la stampa italiana si è appellata ai parlamentari di ogni partito perché si dimostrino “responsabili” e approvino la legge finanziaria.
Perfetto. Ma responsabili dinanzi a chi? Agli analisti della Merrill Lynch o di Fitch? A finanzieri che vivono nell’iperuranio dei loro grattacieli di vetro e cemento? A Warren Buffet? Oppure a chi li ha eletti?
E, ancora, responsabili di che?
Da quello che si vede, di avere sancito che l’Italia non è più una democrazia. E che forse l’Europa intera ha smesso di esserlo. E’ o non è un tema che dovrebbe essere all’ordine del giorno della libera stampa?

sabato 9 luglio 2011

Vivere a Londra

Vivere a Londra mette le cose in una prospettiva diversa. Centinaia di migliaia di persone, dall'ultimo dei miserabili ai miliardari russi, vengono qui da ogni parte del mondo. E' una città di ineguaglianze sociali feroci, e nello stesso tempo accogliente. E' una città modernissima e insieme medievale: è il più grande paradiso fiscale del mondo, in cui il quartiere della City è un comune a parte, governato da un proprio sindaco i cui elettori sono le società finanziarie e le banche che vi hanno sede e che votano in base al numero dei propri dipendenti, come le corporazioni medioevali. Naturalmente, senza che i dipendenti abbiano voce in capitolo: sono i datori di lavoro che votano al loro posto. Vi sembra incredibile? Eppure è vero.
E' un posto in cui i ricchi non hanno bisogno di rubare, perché essendo una città che vive di finanza, il furto è stato legalizzato. Non hai bisogno di corrompere i primi ministri: se fanno i bravi, a fine mandato li inviti a tenere conferenze e li ricopri d'oro. Tony Blair, che è stato bravissimo, guadagna milioni di sterline l'anno.
Non hai bisogno di raccomandare sotto banco: qui la raccomandazione è legale. L'altro giorno David Cameron, il primo ministro, ha dichiarato d'aver aiutato il figlio del suo vicino a trovare un lavoro e nessuno s'è scandalizzato. E' sottinteso che, in quanto vicino di Cameron, di sicuro non viveva in un sobborgo popolare.
E' un città libera, certamente una delle più libere del mondo, ma ho visto con i miei occhi la polizia a cavallo caricare un gruppo di studenti (età media 16 anni) che protestavano pacificamente davanti al parlamento.
Volete che una città così, folle e cosmopolita, classista e democratica, questo strano miscuglio di razze e popoli, tollerante e perbenista, si stupisca di un piccolo siciliano che si chiude in una stanza a registrare al computer le proprie canzoni?

Adotta una canzone

So bene che facendolo infliggerò il colpo di grazia a quel poco che rimane della mia reputazione, ma ho deciso di rendere pubbliche le mie canzoni. Lo faccio per metterle a disposizione di chiunque le voglia utilizzare (a patto di rispettare alcune regolette che più avanti elencherò). Una premessa è d'obbligo: io non conosco la musica e quel che è peggio non so neppure cantare (come avrete modo di scoprire, temo).
Mi piacerebbe che qualcuno tra voi con "conoscenze" musicali possa usare i miei testi per farne delle vere canzoni. Usateli, se vi piacciono.
I motivetti che canticchio vanno infatti intesi come un semplice pretesto per mettere in video i testi (e anche perché mi diverto molto a farlo). Tra l'altro ignoro se per caso non li abbia involontariamente copiati da canzoni già esistenti (i motivetti, non i testi), dunque prendeteli con beneficio d'inventario.
Veniamo alle regole. I testi sono, come detto, messi a disposizione di chiunque li voglia utilizzare. E' tuttavia ovvio che nessuno potrà registrarli a suo nome (ed è la regola n. 1).
Regola n. 2: Chiunque utilizzi i testi per renderli pubblici, dovrà avere la mia espressa autorizzazione. Nel senso che la musica o l'interpretazione non dovranno tradire il contenuto dei testi.
Regola n. 3: Chiunque li utilizzi, dovrà ovviamente citarne l'autore.
Tutto qui.
Spero le mie "canzoni" vi piacciano com'è piaciuto a me scriverle.
S'intende che potete prendere i video e riprodurli a piacere.

Il proiettile vagante

Oh che bel bersaglio
Spero solo che non sbaglio
Farò del mio meglio
Se va male me la squaglio


Sono il proiettile vagante
Un assassino svolazzante
Son colpevole e impotente
Mero balistico accidente

Destino privo del mittente
A mosca cieca tra la gente
Sono la morte rimbalzante
Irrintracciabile e distante

Una cartuccia tra le tante
Uccido senz’una scusante
Son io l’immobile movente
D’un universo indifferente

Son l’assoluto contingente
Cui non gliene frega niente
Bimbi anziani o la gestante
O quell’anonimo passante

Sono il parto d’una mente
Disegnato da un sapiente
Vago il mondo da ignorante
Senza bussola o sestante

Andrò pallottola migrante
Non ho scopo né mandante
Ad ammazzare inutilmente
Qualche vittima innocente

Oh che bel bersaglio
Spero solo che non sbaglio
Farò del mio meglio
Se va male me la squaglio



Lu cravattaru

L’acqua lu vagna lu ventu l’asciuca
Pezzu di fangu di ‘na sancisuca
Sapiddu quantu mi fici paiari
Pi’ sti du sorti chi c’addummannavi

Lu machinuni c’arriva dda sutta
Si lu scurdau chi nasciu ni ‘na rutta
La sò signura si conza a cuntessa
Mancu s’avissi lu sticchiu a’ riversa

Essiri onesti sicuru ‘n cummeni
T’jinchi la testa di corra e di peni
Megghiu campari arrubbannu e futtenu
Farisi beddi d’estati e d’immennu

Pi’ ruvinari a nuautri cristiani
Ni manca sulu stu jurici ‘nfami
L’avi cu mia mi vulissi arristari
Picchì mi dici chi ‘n vogghiu parlari

Fussi pi’ iddu c’avissi a cuntari
Tutti li guai chi mi fici passari
Chi ci nni futti si po’ li paesani
Pi’ du’ risati c’abbagnanu ‘u pani

E mentri a mia m’invilena la vita
Chiddu s’accatta cravatti di sita
Tantu si sapi tra indulti e dinari
Tempu tri jiorna lu viru passiari

Di cravattara ci inchissi i galeri
Ma chi nni sannu di me mugghieri
Idda mi dissi lu fazzu pi’ tia
Ma si si sapi t’ammazzu ccu mia

Chissu la voli ora ritta ora torta
Ma tantu iddu camina cu ‘a scorta
Fazzu lu babbu e puru lu mutu
Pi’ nun passari pi’ babbu curnutu

Ma ti li dicu ora jò veramenti
Quannu rinasciu sarò dilinquenti
Passu mafiusu e figghiu di cagna
Lu ventu m’asciuca si l’acqua mi vagna

Nota: La vittima di un usuraio finisce davanti ad un magistrato. Ma la sua fiducia nella giustizia non è il massimo. Forse non ha tutti i torti, o forse il suo silenzio ha anche un'altra motivazione...





Lo scopacchiotto di peluche

Lo scopacchiotto di peluche
Sorride dolce al mio sorriso
Lo sento soffice qui accanto
Caldo del mio caldo abbraccio

Il mare fuori m’accompagna
Al ritmo lento delle onde
In zi bemolle una zanzara
Ronza piano il suo motivo

Ma un tango zoppica le corde
Per coppie ottuse da balera
Tra pizze e vino di cartone
Agosto suda il suo salario

Richiudo piano i doppi vetri
Nel vento caldo delle pale
Non ho bisogno di sapere
Che vada al diavolo l’estate

Lo scopacchiotto di peluche
Sorride sempre dal mio letto
Mi fissa morbido e peloso
Ha ancora il mio sudore addosso

Nota: Un uomo in una stanza. Da solo. Fuori imperversa l'estate, ma lui ha testa soltanto per il suo orsacchiotto di peluche...




Vorrei essere di destra

Vorrei esser di destra
Così di tanto in tanto
Sbarrare la finestra
Pensare a me soltanto
Vorrei esser di destra
Un paio d’ore intanto
Capire cosa resta
Di quello che ora sento

E non sentirmi in colpa
Se il mondo va a puttane
In fondo sai la polpa
È cane mangia cane
E non sentirmi in colpa
Se in nome del Dio Pane
Mi getto a mano morta
Su quello che rimane

E invece eccomi qui
A farla controvento
Per il gusto di provare
Il piacere di sbagliare
L’illusione di trovare
Un mondo senza vento


Vorrei esser fascista
Sia pure a fin di bene
Al caso sciovinista
È chiaro se conviene
Vorrei esser fascista
Ma con moderazione
Perfino un po’ razzista
Per quanto sia terrone

E quando gira storto
È bello su due piedi
A modo di conforto
Il dar la colpa ai negri
E quando gira storto
Almeno un po’ ti sfoghi
D’aver ragione o torto
In fondo te ne freghi

E invece eccomi qui
A farla controvento
Per il gusto di provare
Il piacere di sbagliare
L’illusione di trovare
Un mondo senza vento

Vorrei esser credente
Familista ed amorale
E poi subito innocente
Fuori dal confessionale
Vorrei esser credente
Per il tarlo di peccare
Ché tanto come niente
Me lo posso perdonare
Gesù Cristo sia lodato
Lui con tutte le sue croci
Che ha ragion l’episcopato
Vanno date in testa ai froci
Gesù Cristo sia lodato
Io non credo a certe voci
Non può avere perdonato
Certe troie meretrici

E invece eccomi qui
A farla controvento
Per il gusto di provare
Il piacere di sbagliare
L’illusione di trovare
Un mondo senza vento


Il bello è che cominci
Pensando di giocare
E infine ti convinci
Che in fondo non è male
Il bello è che cominci
Credendo di scherzare
Poi piano piano evinci
Che non ti sai fermare

Ed eccomi di destra
Non darmi più del gonzo
Abbasso l’aria mesta
Da intellettuale bonzo
Ed eccomi di destra
Senza nessuno sforza
Cominci la mia festa
Evviva sono stronzo

Quant’ero deficiente
A farla controvento
Per il gusto di provare
Il piacere di sbagliare
L’illusione di trovare

uhm

ma tu guarda che m’invento


Nota: La canzone è ovviamente ironica. Pertanto, diffido chiunque dal dire: Mizzica, 'na li vicchiai Montalbano diventò fascista!

Trinacria

Trinacria è una lingua nel mezzo
Del Mediterraneo
erraneo
Un grumo di lava e saliva
Sul globo terraqueo
Erraqueo

Da sempre puttana e maestra
In genuflessione
Davanti a qualunque signore
Lei va in processione
cessione

Vestale di un dio senza patria
E senza sapienza
Penosa in quei gesti pelosi
Di riconoscenza
Voscenza

Si vende da sempre per nulla
Al peggior offerente
E cambia cavallo ogni volta
Con far penitente
Per niente

Riveste con oro fasullo
La sua vanagloria
Di quando cedette anche ai figli
D’Atene e di Troia
La troia

Mai paga né sazia dei riti
Di sottomissione
Lei bacia la mano che impugna
Qualunque bastone
Badrone

Ai morti ammazzati ed ai tanti
Fuggiti a milioni
Corone di fiori ora che
Sono via dai coglioni
milioni

E quando non vengon da fuori
I nuovi padroni
S’arrangia a leccare il sedere
Dei propri baroni
Ladroni

Feroce nell’arte di odiare
Da dietro le spalle
Da bruco invidioso che ignora
Che sian le farfalle
Farfalle

Trinacria ha tre gambe e s’illude
Di saper volare
Volare

E intanto le agita invano
Per non affondare
Nel mare

Teresia stanca di guerra

La stidda chi vidi dda 'ncapu lu cielu
è stidda di miliuna e miliuna d'anni fa
poi picca a picca arriva la luci finu cca
e porta vuci di malincunia e misteru

C'è l'indovino chi ti leggi dda gran luci
chi dici chi li stiddi ti canuscinu 'u futuru
ma è comu pi' dda testa di liuni 'ncapu 'n muru
senza mancu 'na cura p'assicutari 'i puci

Solo Teresia conosce il futuro
lei che lo vede non apre gli occhi
Solo Teresia conosce il futuro
lei che lo vede non apre gli occhi


La malapianta crisci comu nenti
la scippi la scippi e ci rinascinu li denti
la malapianta crisci com'un muru
galera p'ogni passu passu di futuro

Teresia c'avi l'occhi l'occhi du distinu
radici fangu chiummu catina a 'u so' camminu
Teresia è un semi senza la so' terra
agneddu di la paci in tempu di la guerra

Nota: La canzone parla di una bambina nata in un paese in guerra. In un mondo in cui tanti sostengono d'essere indovini, astrologi e divinatori, Teresia è l'unica a conoscere davvero cosa le riservi il futuro. Il nome è ovviamente ispirato a Tiresia, l'indovino cieco dell'Edipo Re di Sofocle.




Strisce pedonali

La fimmina ingrignata
La fimmina attrappita
Il trucco ripittato
Sul ghigno d’altroieri

La strada lì davanti
In attesa di passare
Tramezzano automezzi
Tra lei e il marciapiede

Smarmitta su una ruota
Il quindicenne ottuso
Grandissimo cornuto
Per poco non la piglia

S’ingrigna sulle strisce
Protetta dal cipiglio
Fa un passo e si ritrae
È stupido rischiare

Io quasi quasi lo lascio
Quasi quasi divorzio
Vent’anni e non m’ascolta
Io quasi sono stanca

Farei qualsiasi cosa
Se solo mi lasciassero
Se solo mi facessero
Quasi qualsiasi cosa


La fimmina ingrignata
La fimmina attrappita
La bocca rinseccata
Dall’uso del fastidio

Vestita col sospetto
D’un’eleganza in punta
La fede troppo stretta
Sul povero anulare

S’ingrigna sulle strisce
Protetta dal cipiglio
Fa un passo e si ritrae
È inutile rischiare

Adesso adesso adesso
C’è l’ultimo autobus
Ma porca la miseria
Un altro motorino

Farei qualsiasi cosa
Se solo mi lasciassero
Se solo mi facessero
Quasi qualsiasi cosa


Nota: Una volta vidi una signora davanti alle strisce pedonale. Com'è d'uso in Sicilia, nessun automobilista si fermava per lasciarla attraversare, e più passava il tempo più lei s'inscuriva in volto. Era elegante ma d'una "eleganza in punta", per dire di una cosa un po' tirata, tenuta su con gli spilli, sul punto di cadere. E' vero, nessuno si fermava, ma è vero pure che lei sembrava incapace di fare il primo passo. Come chi pensa che tutto dipenda sempre dagli altri.

Signora Confessa

E’ bava d’insetto, la seta
Sputo di quasi insetto
Bozzolo di seta di sputo d’insetto

Un confessionale
Grata (rovente) di povero parroco
Tonaca nera di ragno
In un buco

E lei parla, riparla, Confessa:
di corpiparole
sottintesi sospiri
il suo soffio, in un soffio
invisibile filo di bava

Signora Confessa
Brivido di setacarne
Saliva di pigra risacca
Che esplode di spuma
Su pelle

Un Aldilà di abitocarne
Al di là della grata
(rovente)
di povero parroco
tonaca nera in un buco
di ragno

Signora Confessa
In guaina di bava d’insetto
In quasipelle di
sputo d’insetto

Signora Confessa
In un soffio
Qui dentro
Gesù, Gesù, confessa
In un alitosoffio:
è bianca, è nera
la seta,

o del color delle cosce





Querido Pelido

Querido Pelido
Destino bandido
Partito soldato
Ahi mito dannato

Dal mare infinito
Su legno sfiorito
A Troia sbarcato
Ahi boria del fato

Il pomo più ambito
Sarà ormai marcito
Lo smalto dorato
Ahi se c’è costato

A un dito dal dito
L’amore inseguito
Di poco mancato
Ahi gioco truccato

Carapace dove sei
Maledetti sian gli dei
Lente pede te ne vai
Ma non ti raggiungo mai
Carapace dove vai
Paradosso dei miei guai
Tra le braccia ti vorrei
Abbranco l’aria e non ci sei


Oh Ettore infido
Guerriero maldido
Il campo assolato
Ahi insanguinato

Di bronzo vestito
Lo scudo brandito
Pugnale sguainato
Ahi troppo affilato

L’amante colpito
Nell’Ade rapito
Il piede più alato
Ahi quanto tarpato

Oh Patroclo ardito
Fottuto dal mito
Il corpo scannato
Ahi sia vendicato

Carapace dove vai
Paradosso dei miei guai
Tra le braccia ti vorrei
Abbranco l’aria e non ci sei
Carapace dove sei
Maledetti sian gli dei
Lento pede te ne vai
Ma non ti raggiungo mai


Nota: Secondo il paradosso di Zenone di Elea (filosofo greco vissuto nel 400 A.C.), Achille non riuscirà mai a raggiungere la tartaruga. Per lo meno non potrà farlo se rappresentiamo matematicamente la loro gara. Fatto sta che Achille si trova davanti alle mura di Troia ed Ettore gli ammazza Patroclo, l'amante. Da quel momento, che Zenone abbia torto o ragione, l'amore e la pace (la carapace) saranno per Achille davvero irraggiungibili.

Potessi

Sapessi, saprei
I vecchi passi
Rifarei

Potessi, potrei
Ad occhi bassi
Guarderei

Mi piacerebbe
Vivere conforme
Amare odiare
Tutto nelle norme

Vorrei essere duro
come un sasso
saper com’evitare
un passo falso

Magari mi daresti
Il cuore in mano
Sapendomi fedele
A un dio mondano

Tu sì mi cercheresti
Coi tuoi occhi
Negli angoli più ciechi
Degli specchi

Chissà cosa sarei
Se fossi un altro
Odioso buono oppure
Solo scaltro

Vorrei esser diverso
Giusto il tempo
Di diventar banale
Sul tuo grembo

Ti lascio in bianco
Questo sentimento
Puoi prendere di me
In ogni momento

Volessi, vorrei
Capir compassi e
Farisei

Vivessi, vivrei
E tra i me stessi
Sceglierei







Passatempu

La notti c’arriva cu ciatu di ventu
Cu cori di vitru luna di malabbentu
Lu jornu chi curri cu passi di focu
Cu vuci d’addevi addumati di jocu

Lu ‘mmennu chi porta acqua e malatia
Luci senza caluri nivi e malincunia
L’astati chi veni t’asciuca lu chiantu
D’austu lu scettru di stiddi lu mantu

Malutempu la morti malutempu ‘u rancuri
Duna tempu a lu tempu li minuti e li uri
Passatempu la vita passatempu l’amuri
Duna tempu a lu tempu galantomu e signuri

La morti ammucchiata dintra visina e fami
Chi t’agguanta la gola strinci cu li so’ mani
P’ogni vita biniditta c’è qualcunu chi prea
‘Na cannila di cira la to’ vita e la mea

La vigghia chi jiapri lu so’ ‘nfernu di luci
Di suduri e di sangu a cu porta la cruci
La notti chi jinchi la to’ testa d’amuri
‘Na prumissa di paci jorna senza duluri

Malutempu di fangu malutempu di feli
Di galera di scantu raggia e carabineri
Passatempu di suli passatempu di meli
Pi’ st’anticchia di tempu t’arrialassi lu cori






Estate

Viene da primavera l'estate del mondo
il mare respira di onde e di fango

Silicio carbonio catrame e bottiglie
la spiaggia un tappeto di plastica e sabbia

Lontano in silenzio il sole tramonta
tra il grigio cemento di case abusive

Sabrina è invecchiata di grasso e di birra
di tre matrimoni di figli mai avuti

Ha il riso bambino del mondo com'era
la gola strozzata dai morsi del fumo

Viene da giovinezza l'estate del tempo
la luce feroce sul vecchio sorriso

Nota: La "storia" è vera, ma il nome della donna di cui si racconta è inventato.

Anidride borbonica

Filari d’auto blu da sottosegretario
Scarrozzano i reali in giro per la via
A Napoli tornati per un anniversario
Di re Ferdinando e della monarchia

Nel traffico feriale le teste coronate
Espirano deluse borbonica anidride
I clacson nobiliari le plebi incolonnate
La polizia di scorta è lì che se la ride

Del titolo incurante ignaro d’etichetta
Il culo d’una Printz avanti la maestà
Scoreggia rumorosi fumi di marmitta
Attossicando al sire e alla di lui metà

Perché sospira il re su ditemi perché
È fermo ancor qui il mio leal corteo
La meglio società m’aspetta per le tre
Ed io ad affumicare in coda da babbeo

O povero re e povero anche l’autista
In doppia fila sta una Panda bordeaux
Di Caterina Esposito nata Bellavista
Uscita per comprare un paio di sabot

La figlia sorridente in rosa bomboniera
Saluta la commessa amica di mammà
Madonna sta sonata da mattina a sera
Non possono aspettare un minutino va

E aspetta pure il re con tutta la sua banda
Bianco più di un fondo teiera di Limoges
In coda si dimena là dietro quella Panda
L’erede rintronato dalla plebesse oblige

Nota: La storia è vera ed è successa a Napoli. Ne sono stato testimone. C'era un corteo di auto blu con a bordo non so quale erede detronizzato dei borboni. Tutti bloccati nel traffico. Risalii la file delle auto per vedere cosa fosse successo. Una manifestazione di protesta? Un corteo repubblicano? Una banda di incalliti garibaldini? Niente di tutto questo...




Ammiragli d'acqua dolce

Ammiragli d’acqua dolce
Capitali di ventura
Cavalier di Malebolge
Alpinisti da pianura

Sanno leggere il futuro
Con le uova di storione
E nel volo del paguro
Trovano la direzione

Li salutano i selvaggi
Dai canotti dai balconi
e sorridono ai presagi
e alle palle dei cannoni

Il giornale d’alto bordo
In pergamena di serpente
Per il viaggio di ricordo
Per la muta del presente

Alti i calici di neve
Che la musica abbia inizio
Vino carte e baiadere
La sentina d’ogni sfizio

Come canta come incanta
Il nuovo papa d’Avignon
Tra le dita l’acqua santa
Del beato Perignon

Bassa a pelo d’equatore
C’è la svastica del sud
Or che Budda fa l’attore
In un film di Bollywood

Sotto l’albero maestro
Della nuova religione
Gesù Cristo dal capestro
Che ripassa la canzone

Il bazar di Pietroburgo
Ed il re cuor di lenone
Si fan beffe del demiurgo
Travestito da buffone

Da lontano arriva l’eco
Di bestemmie di lamenti
Sono il capitan Copeco
Ed i suoi nullatenenti

I pirati della mancia
Hanno fame a tornaconto
Fan tamburo della pancia
E non sanno stare al mondo

Matematica non sbaglia
E l’addendo non ti mente
Per la plebe e la canaglia
Due più due fa sempre niente

Demogogo ed invidioso
Chi dà retta ai pregiudizi
E non sa quant’è rischioso
Navigar nella jacuzzi

Ammiragli d’acqua dolce
Gran signori del pianeta
Ecco Apollo che risorge
Sopra al carro una moneta

Nota: I signori dell'alta finanza sono stati per decenni i riveriti eroi del nostro tempo. La crisi del 2008 ne ha un po' oscurato la gloria, ma non certo le fortune economiche. Quel che è peggio, continuano a dettare legge. La svastica delle canzone non è la croce uncinata dei nazisti bensì il simbolo buddista, ed è "del sud" perché la Croce del Sud è l'equivalente della nostra Stella Polare se navigate nell'emisfero australe.





Alza la testa

Alza la testa
Al vento che arriva
Ti spinge a dritta
Allo scoglio giù a riva

Alza la testa
Davanti alla vita
Nella tempesta
La nave è finita

Nuvole basse
Tra lampi sul mare
Getta le casse
Per non affondare

Nuvole basse
Nascondono il sole
Fra terre riarse
Bruciate dal sale

Ma tu…

Alza la testa
Al vento che arriva
Puoi starne certa
Ti porta giù a riva

Alza la testa
Davanti alla vita
Per la tua festa
La nave è partita

Il sole è alto
Nel cielo d’azzurro
Un altro salto
Sul mare di burro

Il sole è alto
Fra l’onde leggere
Birra di malto
E pane col miele




Me ne andrò

Il vento ha preso le mie carte
Tutti gli appunti che ho lasciato
Le cose che dovevo fare
Le storie che volevo raccontare

E me ne andrò senza capire
Se è meglio vivere o morire
E me ne andrò
Col mio nulla da dire

Il giorno che ho lasciato indietro
Non ha lezioni da impartire
Lui si credeva eterno
Fino a quando il sole l’ha mollato

E me ne andrò senza rancore
Neppure l’ombra d’un dolore
E me andrò
Lontano da ogni dove

Non c’è davvero nulla al mondo
Più dolce d’una dolce resa
Del non dover lottare
Del non dovere opporre resistenza

E me ne andrò in gran segreto
Con il mio passo più discreto
E me ne andrò
Senza voltarmi indietro

Il mare placa le sue onde
Che già spumavano di rabbia
Mi lascio cancellare
Come quella scritta sulla sabbia

E me ne andrò da qui a due ore
Senza nemmeno far rumore
E me ne andrò
Dovunque sia il mio amore

… e al diavolo l’onore

Luci

Dimmi chi unn'è
pi' malincunia
chi la luci
mi veni a circari

Dimmi chi unn'è
pi' supirchiaria
chi lu jornu
mi veni a scuitari

E astuto la luci
come si la luci
dumani nun torna
E scinnu d'a cruci
comu si sta cruci
dumani unn'agghjorna

Dda 'ncapu lu mari
ddi luci luntani
mi piaci addisiari
Po' dintra a lu porto
sti varchi fitusi
vulissi affunnari

E scinnu d'a cruci
comu si sta cruci
dumani unn'agghjorna
e astuto la luci
comu si la luci
dumani nun torna




Euridice

Su baciala piano
Tra il collo ed il seno
Poi muovi la mano
Carezzala almeno

Io fiuto gli amanti
Lontano ad un miglio
E ne ho visti tanti
Dal mio nascondiglio

Non chiuder le tende
Di quella finestra
L’amore s’offende
Lui soffre e protesta

Rinchiuso e protetto
L’amore è egoista
Ma visto da un tetto
Diventa altruista

Non sono geloso
Se è un altro a godere
Io son generoso
Mi basta vedere

E in questo spiare
Io trovo la pace
La gioia d’amare
Sia pur contumace

E non ho mai fatto
Del male a nessuno
Non sono quel matto
Che dice qualcuno

Io sono devoto
Con tutto il mio cuore
Sia pure a mio modo
Al dio dell’amore

Lo so vostro onore
È il vostro dovere
Ma le sue parole
Son troppo severe

Ché in tutte le foto
Che mi ha sequestrato
Davvero non noto
Neppure un reato

Maniaco lei dice
Ma se ben ricordo
Soltanto Euridice
Morì d’uno sguardo

Nota: Euridice fu rapita da Ade, dio degli inferi. Orfeo, che ne era innamorato, supplicò Ade fino a convincerlo a lasciarla andare. Il patto era che Orfeo non si sarebbe mai dovuto voltare a guardarla durante la risalita dagli inferi, ma lui cedette alla tentazione ed Euridice tornò definitivamente nel regno dei morti.







Il congresso di Canossa

Tra pensieri azioni e borsa
Al congresso di Canossa
Ho smarrito il mio bagaglio
Fra le truppe allo sbaraglio
Per fortuna che la guida
Tra un Martini e la movida
A cavallo d’un caimano
Ci ha salvati dal pantano

Sì la guerra sì alla corsa
Si decise lì a Canossa
Tutti a bordo del naviglio
Sei non salti sei coniglio
Fu una festa quella fuga
Al resort della Tortuga
Tracannando i margarita
Di J. Morgan il pirata

Salsa rumba e nova bossa
Ed il ballo di Canossa
In ginocchio per un miglio
Sanguinando con puntiglio
Barbanera presidente
Del partito che si pente
Riformiamo la speranza
Con il lotto e la finanza

Fu davvero una gran mossa
Quella svolta di Canossa
Per uscir dal nascondiglio
E finir nel ripostiglio
Su sciogliamo le catene
Delle volpi delle iene
Il bel mondo a guadagnare
Chi sta buono può guardare

Vade retro alla riscossa
Fu lo slogan di Canossa
Dove il popolo fu al meglio
Nel torneo dello sbadiglio
Senza offesa per i santi
Tra bestemmie e sacramenti
Gratto e vinco il mio futuro
O la piglio dentro al



O mi gioco pure il mulo

Nota: Quando il PCI divenne PDS sembrò una mossa azzeccata. E probabilmente fu così. Tuttavia non c'era scritto da nessuna parte che da lì si dovesse poi arrivare al punto di credere davvero nell'economia di mercato, nelle liberalizzazioni e privatizzazioni ecc. ecc. Non dimenticherò mai quando sentii per la prima volta dei leader ex-comunisti citare le agenzie di rating come fossero il Vangelo...



La Val di Sfatta

Piove neve in Val di Sfatta
E m’immacola la fratta
Copre terra merda e stucchi
E i maiali mamelucchi

Biancopura è la mia gente
Nell’abbaglio riflettente
Bianconeve è a tutta vista
Nell’inverno calvinista

Eco meco e me rispondo
Giro yodel girotondo
Questo mondo è casa mia
Tra la piazza e l’abbazia

Polla a neve dal mio pene
Il biolattico del seme
S’alza a culo la gonnella
M’immulatto la pulzella

Mi coltivo il bianco mare
Aro are aro are
Pianto i semi della neve
Sulle case sulla pieve

Moribonda senza fretta
Batte i denti la moretta
Tutta nuda nella fossa
Avrà nere anche le ossa

D’esser bianca lei sognava
Son sicuro lo voleva
È questione di due ore
E del giglio avrà il candore

Piove neve in Val di Sfatta
E m’immacola la fratta
Copre terra merda e stucchi
E i maiali mamelucchi

Una ragazza di colore viene violentata e uccisa in un paese dell'Europa centrale. Austria, Svizzera, Germania? Non si sa. La neve coprirà il suo cadavere.

La caduta dal vespino

Bidella di scuola tua madre
Gli stessi capelli nel vento
Il padre fa opra da usciere
È bello in divisa d’aspetto

Correvi con nobile sprezzo
Sul tuo motorino d’argento
Disprezzo svelavi d’avere
Per ogni segnale d’arresto

Vezzosa da fiera Afrodite
In un crocevia d’Agrigento
Tra avite rovine e severe
Tu stavi correndo di certo

Segreta la fossa dannata
Le ruote cozzavano forte
Sbalzata cascavi di botto
Giù nella rugosa carrera

Lordavi di rosso l’asfalto
Di poco mancavi la morte
Cobalto er’il mare là sotto
Che fu della dea di Citera

Correvi leggiadra la vita
Da vera donzella di corte
Or tinta vermiglia nel volto
Che fu la caduta da pera

Nota: Una ragazzina scorrazza sul suo motorino per le strade di Agrigento. Lo fa con lo sprezzo del pericolo e la superiore noncuranza d'una nobildonna d'una volta o d'una ninfa dell'antica mitologia greca. La modernità è fatta di anche di questo: di gesti antichi in contesti nuovi.

L'Autostrada 6

Io vado a ottanta all’ora lungo l’autostrada sei
Sulla corsia di destra senza allontanarmi troppo dal guardrail
Si dice chi va piano va lontano e poi lo sai
Che in tutta la mia vita contromano io non sono andato mai

Mi ha detto anche tua madre che conservi ancora una fotografia
Di me di te tuo padre mia sorella e Margherita sai tua zia
Insieme in pizzeria là sotto casa alla Bella Napoli
Con l’incerata rosa e roba fresca senza trucchi o intingoli

Quel bel vinello fresco fatto in casa che da solo ti va giù
Ma senza esagerare com’è giusto un dito a testa o poco più
Avevi un bel sorriso e quel vestito verde che hai cucito tu
Con la spallina che non ne voleva mai sapere di star su

Difficile davvero immaginarti più felice di così
Col nostro ferramenta e poi gli amici e lo scopone al giovedì
Davvero credi d’esser più serena adesso che vivi con lui
Ed hai dimenticato la tua casa tuo marito ed anche i tuoi

Non serve sorpassare la mia uscita è sei chilometri da qui
Starò tranquillo in coda con prudenza fino al bivio Mondovì
Poi prendo la statale e intanto penso alla faccia che farai
Tu che credevi che lì a casa sua non ti avrei trovata mai

Due colpi poi due baci poi due colpi infine l’ultimo per me
In tutto fanno sette come gli anni che ho vissuto insieme a te
Dovrebbero spiegare a st’incosciente che da destra non si può
Qui tutti pensan d’essere piloti poi s’ammazzano però

Io non ho mai capito a cosa serva andare a più di cento all’or
Perché la gente corre scappa cerca chissà che cos’altro ancor
Tra un poco amore mio quando insieme non sarem nell’aldilà
Ti basterà un istante per capire che vuol dir felicità

Nota: Un uomo percorre con prudenza l'autostrada 6. E' una persona tranquilla, senza grilli per la testa. Ama sua moglie, la sua casa, la propria famiglia. E' difficile immaginare una situazione più inquietante...

Il Torquemada innamorato

Su lasciati picchiare
Voglio sentirti urlare
Il vederti lacrimare
Me l’ho fa già tirare

Ho bisogno di vedere
Il tuo pesto lividume
Se ti vedo sanguinare
Sono tutto un brividume

Senza suppliche arrapanti
Senza neanche una ferita
Senza calci sopra ai denti
Cosa vuoi che sia la vita

Ma tu indossi la tua tonaca
Vuoi l’amore senza attrito
Scopri la tua fica monaca
E mi dici basta un dito

Non le voglio le tue prediche
Non ti voglio confessare
Delle tue preghiere ludiche
Non so proprio cosa fare

Io non voglio fare il vescovo
E neppure il chierichetto
Vorrei solo sai di nuovo
Incatenarti sopra al letto

Amore mio così non va
Stiamo sempre a litigare
Così il sesso non si fa
Ci dovremmo uniformare

Ci sarà una via di mezzo
Tra i tuoi metodi soavi
E il mio gusto certo rozzo
Di legarti ai lampadari

Se davvero vuoi che metta
Un bell’abito talare
Per poterti poi furbetta
Sul mio coso confessare

Io un’idea sai ce l’avrei
Se tu fai l’indemoniata
Ecco allora io potrei
Diventare Torquemada

Nota: Torquemada fu il primo Grande Inquisitore dell'Inquisizione spagnola. In certi casi, è difficile capire dove finisce la fede e dove comincia la perversione...




Mafioso

La mamma mi diceva che ero svelto di cervello
Poi qui la gente sai si scanta pure delle ombre
Così io diventai come mio nonno e poi mio padre
Mafioso mafioso mafioso mafioso

Sognavo belle macchine e vestiti Valentino
Pensavo a un avvenire di potere e belle donne
E invece eccomi qui nel sottoscala du ‘u zu Pinu
Da solo da solo da solo da solo

Mi avevano promesso mari e monti e chissà cosa
I monti ora li vedo tutti attorno alla stamberga
Dove passeggio il tempo rileggendo la sentenza
Vent’anni vent’anni vent’anni vent’anni

Lontano il mare luccica in fondo alla vallata
Con tutti i suoi bikini il sole e le ragazze in tanga
Se mai nasco di nuovo io lo giuro che mi faccio
Bagnino bagnino bagnino bagnino

Più meglio assai di futtiri sarebbe cumannari
Ebbene io comando solo per corrispondenza
Ma fimmini ne ho a iosa se soltanto mi contento
Di capre di capre di capre di capre

Al massimo addisio un barbecue con quattro amici
Senza paura che poi il fumo attiri anche gli sbirri
Due sarde costolette e dieci metri di salsiccia
Col vino col vino col vino col vino

In foto la mia bimba sembra crescere radiosa
Ma più mi cresce e più somiglia vero a mio compare
Io non vorrei pensare ma si sa di questi tempi
Bastardi bastardi bastardi bastardi

Per giunta il senatore va in tv e mi sputa addosso
Da un anno non risponde dice d’essere prudenti
Ma poi non la schifìa la cocaina che gli mando
Cornuto cornuto cornuto cornuto

Però io porco giuda ve lo giuro su mia madre
Io quasi quasi spero che mi arrestano stavolta
Così racconto tutto parlo e smetto di mangiare
Cicoria cicoria cicoria cicoria

Nota: Quando Bernardo Provenzano fu arrestato, viveva in una decrepita masseria. Il suo cibo preferito pare fosse la cicoria. Ne è passato di tempo dalle dorate latitanze d'una volta...