Chi salverà l’euro dai suoi salvatori?
Guaritori, cerusici e sciamani si affollano da mesi attorno al capezzale del moribondo, dividendosi più o meno in tre gruppuscoli.
C’è chi sostiene che per salvare l’euro bisogna amputare le estremità in cancrena, dando vita di fatto ad una nuova lega anseatica aperta alla Francia (finché dura).
C’è chi sostiene che la Banca Centrale Europea o chi per lei dovrebbe garantire per l’intero debito pubblico europeo. Se le difficoltà dell’Italia (per esempio) spaventano i possibili acquirenti dei BOT, la garanzia che al rimborso penserà l’Unione Europea dovrebbe tranquillizzarli. In cambio, occhiuti ragionieri tedeschi passeranno al setaccio la spesa pubblica dei paesi “spendaccioni”, di fatto commissariandoli.
Non avendo ancora capito se pendere di qua o di là, i politici europei si limitano a stare seduti sulla riva del fiume, facendo pagare il pedaggio ai cadaveri trascinati dalla corrente. Quando c’è da rimborsare i debiti, si sa, non si guarda troppo per il sottile.
Sembra che alla radice ci sia un difetto genetico. L’euro sarebbe nato con una sola gamba. E’ una moneta unica che ha lo stesso valore in 17 paesi, ma questi 17 paesi hanno ciascuno una diversa politica economica e differenti regimi fiscali. Gli Stati uniti, per esempio, sono peggio indebitati di noi europei, ma nessuno si permette di attaccare il dollaro.
Se qualcuno si azzardasse a pretendere interessi troppo elevati sui buoni del tesoro americani, con un tratto di penna la Federal Reserve potrebbe stampare dollari à gogo per svalutarne il valore. Mi hai prestato i tuoi soldi quando il dollaro valeva dieci, te li restituisco adesso che vale sei. E grazie per il disturbo.
In Europa non si può. Svalutare l’euro può convenire oggi all’Italia ma non alla Germania; domani potrebbe convenire alla Francia ma non al Lussemburgo e così via. Per capire cosa questo significhi non c’è bisogno di una laurea in economia. Basta avere partecipato ad una riunione condominiale.
C’è chi i castelli li costruisce con la sabbia, chi lo fa con le banconote. Con una differenza: la sabbia è molto più affidabile.
Pensate davvero che basti un po’ d’ingegneria monetaria per risolvere i problemi dell’economia? Che il mondo sia in recessione per colpa dell’euro, la cui salvezza a sua volta dipende dall’Italia?
E’ quello che qualche giorno fa ha dichiarato la Merkel: “Il destino dell’euro è nelle mani dell’Italia”.
E’ davvero così? Davvero le sorti dell’euro e dunque del mondo dipendono dall’innalzamento dell’età pensionabile degli italiani o dall’introduzione del pedaggio sulla Salerno – Reggio Calabria?
Vi ricordate gli ultimi giorni del governo Berlusconi? Il Time pubblicò un’ormai celebre copertina con la foto del Berlusca e un titolo che diceva: “L’uomo che sta dietro la più pericolosa economia del mondo”.
Trovai davvero divertente quella copertina, che riassumeva il pensiero di gran parte delle cancellerie mondiali. Mi divertì perché in quegli stessi giorni i giornali italiani erano in piena fibrillazione per il toto-sfiducia, e sembrò ad un certo punto che le sorti del governo dipendessero da Gabriella Carlucci.
Il sillogismo che ne risultava era il seguente: se le sorti del mondo dipendono dalla cacciata di Berlusconi e se la cacciata di Berlusconi dipende dal voto di Gabriella Carlucci, ergo le sorti del mondo dipendono da Gabriella Carlucci.
*****
A stupire, in tutto questo, è l’ipocrisia.
Il debito pubblico italiano è di circa un miliardo e 880 milioni di euro. In dollari fa più o meno 2 miliardi e mezzo.
In giro per il mondo ci sono 220 miliardi di miliardi di asset finanziari, 150 dei quali sotto forma di debiti (centocinquanta miliardi di miliardi).
Il prodotto interno lordo di tutti i paesi del pianeta supera di poco i 50 miliardi di miliardi di dollari (i dati sono tratti dall’Observer del 7 agosto 2011).
Se ci sono dei debiti ci saranno anche dei crediti, naturalmente, il che significa che se i creditori andassero tutti insieme all’incasso l’intero pianeta non basterebbe a ripagarli. Oltre alla Terra bisognerebbe dar loro Venere e Marte.
Rendo l’idea?
La sfida che oppone oggi gli abitanti della Terra (e di Venere e di Marte, se esistono) è quella di sgominare la banda di usurai che li tengono in ostaggio.
Nel 1850 Karl Marx scrisse “Le lotte di classe in Francia tra il 1848 e il 1850”. In un passo sembra di leggere una cronaca contemporanea: “Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale dell’arricchimento [dell’aristocrazia finanziaria]. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli”.
Come sia stato possibile che questo accadesse, ovvero che gli Stati del pianeta divenissero ostaggio di una “aristocrazia finanziaria” che oggi non è più solo francese ma mondiale, è noto a tutti. Liberalizzazioni, eliminazione di ogni controllo sulle attività finanziarie, smantellamento sistematico dei diritti sindacali, tagli alla spesa pubblica, politica economica ceduta al mercato con delega in bianco.
Tutto questo ha significato la più colossale redistribuzione del reddito della storia dell’umanità [Vedi nota 1]. Una redistribuzione al contrario, però, che ha tolto ai poveri per dare ai ricchi.
Negli Stati uniti, per esempio, dove tutto è cominciato, tra il 1979 e il 2009 l’1% più ricco della popolazione ha visto crescere i propri redditi del 275%. Il quinto più povero della popolazione del 18% (The New York Times del 26 ottobre 2011).
Per capire la differenza, tra il 1947 e il 1979 il quinto più povero della popolazione aveva visto crescere i propri redditi del 122%.
In Gran Bretagna, tra il 1999 e il 2009 (coi laburisti al governo) il decimo più ricco della popolazione ha visto aumentare la propria ricchezza del 37%. Quello più povero l’ha vista crollare del 12% (The Guardian del 7 novembre 2011).
Quel che è peggio, quando nel 2008 la favola del mercato-più-efficiente-degli-stati s’è rivelata clamorosamente falsa, i molto presunti discepoli di Adam Smith si sono trasformati in un secondo in difensori della mano pubblica. Purché la mano pubblica venisse in soccorso dei loro bilanci falsi.
Il risultato è stato l’esplosione del debito pubblico degli Stati.
Le cure suggerite dagli esperti?
Nuovi tagli, nuova riduzione del potere d’acquisto delle classi medie e medio basse, nuove privatizzazioni. Che inevitabilmente ridurranno le entrate degli Stati e di conseguenza li costringeranno a fare nuovi debiti. La redistribuzione al contrario continua. Come se nulla fosse successo.
Oggi si parla, in Italia, di aumentare ancora l’età pensionabile. Non entro nel merito, e tra un po’ vi dirò perché.
Non c’è un governo del pianeta che non si dica preoccupato per le sorti dei giovani. Questi poveri giovani, che fra 40 rischiano di non avere una pensione per colpa dell’egoismo dei loro nonni e dei loro genitori!
Sono gli stessi governi, badate bene, che quando si tratta di discutere del cambiamento climatico (come adesso, a Durban) dicono che in tempi di crisi è meglio pensare al presente. Che non si può ostacolare l’economia in nome di un incerto futuro.
Come sono strani, i governanti del mondo: si preoccupano che i loro nipoti abbiano una pensione ma non si curano affatto del pianeta che toccherà loro in sorte!
Per questo dico che non ho nessuna voglia di discutere se il sistema previdenziale italiano, dalla cui riforma sembra dipendano le sorti dell’economia mondiale, debba essere contributivo, ad angolo retto o con lo scappellamento a destra.
In un mondo così ingiusto, in cui la menzogna sistematica diventa verità, in cui la mano pubblica è moralmente accettabile solo se serve a salvare i ricchi, penso che ognuno debba difendere il proprio. Con le unghie e con i denti.
Quando la Merkel ha provato a suggerire l’introduzione di una tassa dello 0,01 per cento (ripeto: zero virgola zero uno per cento) i miliardari della City, qui a Londra, per poco non hanno minacciato di annegarsi nel Tamigi (o, meglio, di fare annegare i loro maggiordomi).
Se appena sfiori il loro portafogli perfino i miliardari protestano, perché non dovrebbero farlo gli operai o gli impiegati pubblici o gli arrotini o i raccoglitori abusivi di lumache?
L’interesse generale, il bene del paese, sono favole per i gonzi. Se ne potrà discutere quando parleremo di cose serie.
Fino a quel momento, per cortesia, risparmiateci le cavolate. Le sorti del mondo non dipendono affatto dall’Italia.
Né, tanto meno, da Gabriella Carlucci.
[Nota 1]
In un libro inglese “The Have and the Have Nots” (Quelli che hanno e quelli che non hanno), l’economista Branko Milanovic ha cercato di capire chi sia stata la persona più ricca mai vissuta al mondo. Come parametro ha usato il numero di connazionali il cui lavoro la persona in questione poteva o può comprare. Il risultato? L’uomo più ricco di sempre è il messicano, nonché nostro contemporaneo, Carlos Slim, che potrebbe comprarsi il lavoro di 400.000 suoi compatrioti. Il che lo fa 14 volte più ricco di Crasso e 4 volte più di Rockefeller.
Nessun commento:
Posta un commento