venerdì 11 ottobre 2013

Diventiamo tutti buoni se i clandestini sbarcano morti

Sono circa 20 anni che faccio finta di scrivere un romanzo. Non perché creda davvero che un giorno lo finirò. Più che altro per darmi un tono. Il protagonista è un commissario di Polizia che si chiama Rocco Stevens. Indaga sul ritrovamento del cadavere di una ragazza, Lucia Valenti, o per meglio dire di una sua gamba. L'indagine è resa complicata dalla coincidenza temporale con l'annegamento di centinaia di clandestini. Qui pubblico, in anteprima, il capitolo sul funerale degli annegati. Non riaprivo da chissà quanti mesi il file di Rocco Stevens, perché nel frattempo ho iniziato a scrivere un altro romanzo che naturalmente rimarrà a sua volta incompiuto. L'ho fatto solo dopo la tragedia di Lampedusa. Spero mi sia perdonata l'ironia, ma l'idea era proprio quella di scrivere un romanzo drammaticamente ironico.

Capitolo Cinque
Un po’ ci sono rimasti male. Cioè s’aspettavano un imam autentico, arabesco e col turbante. Che ne so una cosa tipo Bin Laden. Invece c’è quello lì. La barba ce l’ha e pure l’aspetto turco, però è di Castellammare del Golfo. All’anagrafe fa Gaspare Pandolfo, invece il nome arabo fa più o meno Mustafà Menelik. Cioè non proprio ma gli somiglia.
E’ il presidente di non so quale associazione musulmani d’Italia. Comunque ha un documento con il visto della prefettura e il prefetto che è presente gli ha stretto la mano. Dunque tutto a posto. Lo conosce.
Il problema è che dei 156 morti annegati più Lucia Valenti (a tanto siamo arrivati) non c’è modo di capire chi è cristiano chi maomettano chi interista e chi juventino. Da cosa lo capisci, dal colore della pelle? Per esempio dice che in Etiopia ci sono un sacco di cristiani, se non te lo spiegano li vedi neri e per sbaglio li registri come musulmani. Insomma, è un errore legittimo.
Comunque per non offendere nessuno alla fine hanno pensato che era meglio fare tutto assieme. Cioè all’inizio facevano uno, due funerali alla volta e poi mano a mano li seppellivano. Più che altro per il caldo. Poi però ne sono arrivati più di cento in un colpo solo e a quel punto s’è deciso che per questi era meglio un funerale unico. Allo stadio comunale. Tutti insieme appassionatamente.
Anche per dare un segnale di concordia e amore universale nella tragedia. Tipo non tutti i mali vengono per nuocere eccetera. Così eccoci qua: vescovi, sindaci, prefetti, onorevoli, senatori e pure l’imam di Castellammare del Golfo. E un sacco di televisioni, è ovvio. Ma proprio tante!
Cioè, è uno spettacolo: tutte quelle bare marrone scuro, marrone chiaro, coi morti dentro avvolti in un lenzuolo bianco caso mai fossero musulmani, tutte in fila sul verde del campo di calcio e poi il sole che brilla forte sugli ottoni e i piatti e le marsine della banda musicale.
I carabinieri in alta uniforme, coi pennacchi, e i vigili urbani pure loro con quella specie di elmo. Pure la signora che l’altro giorno al bar diceva: dovrebbero affondarli tutti così gli finisce la cuccagna e la smettono di partire, pure lei è venuta e piangiucchia e s’è fatta la permanente caso mai la inquadrano. Diventiamo tutti buoni, questa è la verità, se i clandestini sbarcano morti.
Peccato non si vedano i gabbiani. Non si vedono da sotto, voglio dire, perché il campo sportivo è coperto dal mega tendone. Di sentirsi si sentono, griiic-griiic tutto il tempo, e se non fosse per la banda musicale e le preghiere e il vocio generale secondo me si sentirebbe pure il battere delle ali.
Ogni tre bare c’è un ventilatore. Cioè non è un calcolo preciso. Più o meno. Col caldo che fa e le casse da morto comprate in blocco, voglio dire non di quelle super-lusso super-zinco super-tenuta stagna, e coi morti sfatti dall’acqua di mare e dai pesci, potete immaginare l’olezzo. I ventilatori non si capisce bene a che servono, se a raffreddare le bare o a diffondere uniformemente il puzzo di cadavere oppure, siccome l’aria raso terra è raffreddata dalle ventole e quella calda va verso l’alto, a far venire l’acquolina ai gabbiani lassù.
Comunque vescovi preti e sacrestani non sembrano fare caso all’odore. Si saranno abituati, dopo che per millenni hanno costruito chiese sopra ossari e catacombe. Pure il vino e le ostie. Come se nulla fosse. Provate ad inghiottirle voi se ci riuscite. Senza un attacco di nausea, voglio dire, con la puzza che c’è.
Anzi: sembrano perfino contenti. Gli unici là in mezzo, insieme ai gabbiani. Il vescovo allarga le braccia e con la tonaca che gli penzola larga sotto le ascelle pare pronto a spiccare il volo. Sarà l’effetto della tiara, che ne so, ma sembra vero un gabbiano però mezzo viola.
Onestamente l’imam non è così felice. Muore di caldo, si vede, e non fa altro che asciugarsi la fronte e la faccia con un fazzoletto. Ogni tanto se lo porta al naso, secondo me l’ha inzuppato di profumo. Se è vero ha fatto bene.
Proprio adesso il vescovo sta parlando tipo di tolleranza religiosa. “Guardate tutti questi nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione – dice – vi sfido a capire dai loro volti, dai loro occhi chiusi nell’eterno riposo, dalla serenità che solo il sonno dei giusti può dare, da tutto questo vi sfido, o uomini, a capire quale nome avesse il loro Dio eccetera eccetera”.
Questo sta dicendo, magari non proprio parola per parola ma il senso è questo. Perché negarlo o vergognarsene: quando ha detto “o uomini”, che poi l’ha praticamente gridato, Rocco Stevens ha sentito un brivido dappertutto. Cioè a tutti piace essere scettici o strafottenti, ma di fronte a certe cose viene la pelle d’oca e non c’è niente da fare.
E’ più o meno a questo punto che l’imam casca per terra. C’è lì il prefetto che cerca di reggerlo e siccome non ci riesce lo molla per non finire a terra appresso a lui. Però insomma gli evita la caduta a pera. Più che altro gliela attutisce un po’, se no sai la botta.
Il vescovo gira appena la testa a sud-est e continua a predicare. Cioè, è vero quello che dice e forse ci crede perfino, l’amore universale la tolleranza religiosa e compagnia cantando, però lui è bello sontuoso e con la tiara supera i due metri mentre l’imam di Castellammare del Golfo è piccolo e d’aspetto malaticcio e poi (cavolo!) lo sappiamo tutti che è un prete finto, cioè è una specie di macchietta dai. Ma chi ci crede? Insomma, un vescovo non è che può interrompere una funzione solenne perché un mezzo musulmano s’è intossicato di profumo fino a svenire.
*****
Tutti avremmo voglia di vivere in un mondo perfetto. L’ultimo dell’anno, il 31 di agosto alla fine delle ferie, a volte di sera l’attimo prima di addormentarci. Cioè, chi è che ogni tanto non ci pensa? Ai fioretti di san Francesco e così via.
Voglio dire: non è per non credere al vescovo, per carità le sue parole sono bellissime e forse ci crede perfino lui che certo qualche imbroglio deve averlo fatto per diventare vescovo. Cioè, va bene la poesia ma lo sappiamo tutti che nella chiesa le cose funzionano come nel resto del mondo. Ok cambiamo discorso.
Lui però (lui Rocco Stevens) era presente quando hanno ripescato gli ultimi 80 cadaveri. Era domenica, la spiaggia stracolma di persone, ombrelloni, secchielli e palette. La corrente, non so come, aveva sbattuto i cadaveri tutti da un lato della piccola baia, così i bagnanti non ebbero bisogno di uscire dall’acqua ma solo di evitare l’angolo della spiaggia inquinato dai morti.
L’unica cosa fu che lo stabilimento balneare più vicino, per rispetto, abbassò un poco il volume della musica, però non poté spegnerla del tutto perché era appunto domenica e avevano già le prenotazioni per il corso di pilates. Cioè, gli stabilimenti lavorano solo d’estate, giugno luglio agosto, e le domeniche sono solo 12. Ognuno ha le sue ragioni, a criticare col portafoglio degli altri siamo bravi tutti.
Vigili del fuoco, uomini della protezione civile, alcuni dipendenti dell’azienda della nettezza urbana con contratto a tempo determinato e poi naturalmente poliziotti carabinieri eccetera. Erano loro a dover raccogliere i cadaveri e a infilarli nei sacchi, mentre i bagnanti stavano là con l’acqua all’altezza dell’ombelico, fermi immobili a godersi lo spettacolo per non dire di quelli affacciati alle ringhiere degli stabilimenti.
Ad un certo punto fu proprio lui (lui Rocco Stevens) ad incazzarsi di brutto col comandante della capitaneria di porto. Cioè, era una cosa insopportabile: loro lì a ripescare gli annegati e le moto d’acqua avanti e indietro a sollevare onde e schiuma di cadavere. E che cazzo, gli disse, almeno fate un cordone di motovedette, gommoni, che ne so quello che avete, pure i canotti se serve! Insomma non è possibile che uno sta lì ad un metro da un africano in decomposizione e un coglione che si deve divertire per forza te lo fa sbattere addosso che pare un film dell’orrore.
A uno per poco non l’arrestarono. Siccome non voleva smetterla cominciò a dire il diritto di cronaca qua il diritto di cronaca là, e tutto perché voleva scattare fotografie col cellulare, figuratevi. Leggono le cose sui giornali e manco capiscono il significato: vieni a pescare i morti, coglione, e vedrai che meraviglia il diritto di cronaca. Peccato non l’abbiano arrestato veramente.
Si perde la fiducia nell’umanità. Già ne ha poca, uno che fa il mestiere suo (suo di Rocco Stevens), nel senso che per un poliziotto fidarsi è bene ma non fidarsi eccetera. Questa però è una cosa più interiore, di quelle che strappi il vangelo e con le pagine ci fai gli aeroplanini di carta. Uno schifo, va, tutte quelle panze bianche, gli ombrelloni a spicchi, i pedalò e loro invece costretti a fare i beccamorti.
Pure adesso, voglio dire. Il vescovo che continua a vagheggiare e la puzza di cadavere che solfeggia l’atmosfera e un caldo che farebbe diventare stitiche le anime dei santi. E gli unici a far finta di ascoltare sono sempre loro: poliziotti vigili eccetera.
Anche i giornalisti, cioè, una foto qui una là, un paio di appunti e via, quanto mi piacerebbe vederli dritti sull’attenti senza manco potersi grattare. Cioè, mi piacerebbe veramente perché intanto che loro scrivono e predicano che al confronto il vescovo è un dilettante, Rocco Stevens e compagnia diventano cretini: un giorno ci ordinano di ributtare a mare gli sbarcati un altro dobbiamo portarli a terra ma solo se sono morti, e siccome coi defunti non si sa perché bisogna essere più indulgenti dobbiamo stare sull’attenti sotto il sole la pioggia e la merda di gabbiano. Cioè, dico io: ad essere rigorosamente, aritmeticamente e geometricamente sinceri, non sarebbe meglio essere indulgenti direttamente coi vivi? Solo solo per risparmiarsi la parte da cretini.
Una caldo allucinante il vescovo che con tutto il rispetto se la stramena in pubblico l’imam siculo-maomettano che annaspa mentre un carabiniere cattolico romanista lo sventola col corriere dello sport i giornalisti eccitati dall’evaporazione dei cadaveri e noi in divisa a fare le belle statuine.
Onestamente, quando i gabbiani trovano la strada e si strafogano a centinaia sotto al tendone che sembrano pipistrelli di venti chili e proprio non hanno paura dell’uomo e si mettono a beccare le casse da morto, e tutti dico tutti scappiamo gridacchiando, onestamente per noi in divisa è un specie di sollievo. Almeno il sangue torna a circolare e i piedi gonfi di caldo sentitamente ringraziano. Non dovrei dirlo ma il primo è lui (lui Rocco Stevens) a scappare via ridendo che pare un bambino. Saltella, proprio, e fa “uuuuuuuh uuuuuuuh” e ride come uno scemo. Meno male che tutti pensano a scappare e nessuno se ne accorge. Meno male vero, va.

mercoledì 7 agosto 2013

Berlusconi e l'aria fritta

Una gigantesca nube d’aria fritta ammorba i cieli dell’Europa.
Viene dall’Italia, sospinta da venti africani. Quel che resta di Silvio Berlusconi brucia lentamente: una mistura nauseabonda di lardo, cerone, tintura per capelli, l’incenso e l’acqua santa con cui copriva il profumo pesante delle bagasce, olio crismale, botox e viagra.
Intellettuali soi-disant liberali alimentano il fuoco gettando in fretta nel braciere tutte le stronzate che hanno scritto negli ultimi 20 anni. Le paraculate, gli spericolati sofismi, il cerchiobottismo opportunista, il gattopardismo di seconda mano con cui hanno difeso l’indifendibile.
Rivolgono al fu Silvio l’ultima preghiera (o forse la penultima, chi lo sa), supplicandolo di farsi da parte. Gli danno consigli da servi: per il suo bene. Vuoi la riforma della giustizia? Allora non pretenderla in maniera così gridata e smaccata, continua a sostenere il governo delle larghe intese e se son rose fioriranno. Lo ha scritto, con meno anacoluti e più prudenza, il direttore del Corriere della sera il 3 di agosto. Invece di dirgli semplicemente: sei un delinquente prego accomodati.
Oppure indulgono nella perversione preferita dagli italiani. Il provincialismo. Con che goduria i maggiori quotidiani hanno ripreso i titoli dei media internazionali. E tutti a dire (italiani e forestieri) che solo da noi possono succedere certe cose.
Essendo in realtà incapaci di flagellarci da soli lasciamo che siano gli altri a farlo. A ci piace assai. Dimmi che sono un porco, dimmi che sono una troia. E’ così che funziona: nessuna perversione può dare piacere se non si abbina e combina con la consapevolezza del peccato.
Perché il gioco erotico funzioni occorre, è ovvio, un modello di purezza. Uno stereotipo d’onestà virginale da contrapporre allo stereotipo della nostra sozzura. Per noi italioti, questo modello è rappresentato dall’Europa. Dalle mitiche classi dirigenti europee.
Ve l’immaginate un Berlusconi in Francia o in Gran Bretagna o in Germania? L’avrebbero già mandato via a calci. Tutto vero. Sacrosanto. Perfino scontato. Talmente scontato che puzza d’aria fritta.
Viene voglia di dare testate al muro.
Santo Dio, come si fa a non vederlo? A non dirlo? A non urlarlo a pieni polmoni?
Volete sapere la vera, sostanziale differenza tra l’Italia e i paesi europei che amiamo prendere a modello? Tra Berlusconi e i leader politici di codesti paesi? L’onestà? Ma fatemi il piacere!
Dal dopoguerra ad oggi, mai l’Europa ha avuto una classe politica più corrotta dell’attuale. L’Europa, non soltanto l’Italia. Hanno venduto l’anima dell’Europa, di ciò che l’Europa avrebbe potuto e dovuto essere, ai delinquenti della finanza.
Chi, esattamente, dovrebbe farci la morale? David Cameron o i suoi predecessori Tony Blair e Gordon Brown, che hanno trasformato la Gran Bretagna nel più grande paradiso fiscale d’Europa?
Nicolas Sarkozy, l’uomo che festeggiò la sua prima elezione sullo yacht del finanziere Vincent Bolloré?
La presidentessa del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che al summenzionato Sarkozy scriveva lettere degne della Santanchè (Nota 1) e che da ministro delle Finanze elargì quel petit Berlusconì di Bernard Tapie della bellezza di 400 milioni di euro (pubblici) a compensazione delle sue presunte disgrazie? (Nota 2)
L’attuale president Francois Hollande, beccato con i pantaloni abbassati nel bel mezzo delle sue tirate contro i ricchi che non pagano le tasse, quando si scoprì che il suo ministro delle Finanze e il tesoriere della sua campagna elettorale avevano entrambi conti in banca alle isole Cayman? (Nota 3) Dall’Olanda, tanto occhiuta quando si tratta di giudicare i conti pubblici altrui quanto dimentica del proprio ruolo di paradiso fiscale? (Nota 4)
Il Financial Times? Ah ah ah!
Il gruppo editoriale proprietario del Financial Times (e dell’Economist) si chiama Pearson plc. Traduco da “The Great Tax Robbery. How Britain became a tax haven” (La grande rapina delle tasse. Come la Gran Bretagna divenne un paradiso fiscale) di Richard Brooks, edito da Oneworld.
“Nel novembre 2009 una lettera della Pricewaterhouse Cooper al fisco lussemburghese rivelò che il gruppo voleva investire 587 milioni di dollari negli Stati uniti, nel settore dei libri didattici, inizialmente attraverso uno schema in cui una compagnia britannica chiamata Embankment Finance LTD (EFL) avrebbe costituito una filiale in Lussemburgo. La EFL di Londra avrebbe trasferito i soldi alla sua filiale lussemburghese, che li avrebbe poi investiti in un’altra società del granducato, chiamata Pearson Luxembourg Nr. 2 srl, in cambio di azioni di quest’ultima compagnia. La Pearson Luxembourg Nr. 2 srl., a sua volta, avrebbe prestato i soldi a un’altra società lussemburghese, FBH, che a sua volta li avrebbe reinvestiti per il business americano”.
Vi gira la testa? Non preoccupatevi, non è colpa vostra. Lo scopo era proprio questo: far girare la testa alle agenzie delle entrate inglesi e americane e non pagare le tasse. L’autore del libro da cui ho tratto questo passo, Richard Brooks, è andato a visitare la sede della filiale lussemburghese dell’editore del Financial Times, al numero 17 della Rue Glesener. Traduco: “La sede legale era una stanza sopra un negozio d’articoli sportivi dalle parti della stazione centrale di Città del Lussemburgo. Vi potei accedere solo dopo numerose violazioni di domicilio fatte invocando l’interesse pubblico, in cima ad una rampa di scale scarsamente illuminate, dove il nome di uno dei maggiori gruppi editoriali del mondo si trovava in un foglio di carta in formato A3 insieme ad altre 17 società, attaccato con delle puntine da disegno ad una di quelle bacheche che di solito si trovano nelle case degli studenti. Ovviamente non era stata messa lì per essere vista da qualche estraneo, tanto è vero che quando bussai alla porta non mi accolsero voci di benvenuto. “Com’è arrivato fin qui? Chi le ha aperto la porta?” abbaiò lo scozzese che gestiva la CPC Business Services srl, una delle centinaia di società per la gestione di servizi finanziari che fanno il loro remunerativo lavoro nei sottoscala lussemburghesi. Nella fattispecie responsabile, a quanto pare, di sbrigare le scartoffie della casa editrice del Financial Times”.
Tutti i giornali italiani che hanno pubblicato l’editoriale del Financial Times che dava del buffone a Berlusconi, condannato per evasione fiscale, dovrebbero altresì pubblicare queste righe. Solo solo per completezza d’informazione.
Non difendo Berlusconi. Solo i suoi cortigiani mi fanno più ribrezzo di lui. Difendo il mio essere italiano. Difendo la mia storia, la mia cultura, le mie radici. E come Francesco De Gregori, anch’io ho avuto i miei due minuti di berlusconismo: quando ho visto Sarkozy e la Merkel sbeffeggiarlo. Sarkozy e la Merkel, capite? Non esattamente De Gaulle e Adenauer.
E allora qual è la differenza tra Berlusconi e gli altri leader europei? Solo una. Una soltanto.
Berlusconi è un corruttore. Gli altri sono dei corrotti. Tutto il resto è aria fritta.


Nota 1: http://www.lemonde.fr/societe/article/2013/06/17/la-lettre-d-allegeance-de-christine-lagarde-a-nicolas-sarkozy_3431248_3224.html

Nota 2: http://www.lemonde.fr/societe/article/2013/05/23/affaire-lagarde-tapie-si-vous-avez-manque-un-episode_3415548_3224.html

Nota 3: http://www.theguardian.com/world/2013/apr/03/french-tax-fraud-hollande?guni=Article:in%20body%20link

Nota 4: http://www.ft.com/cms/s/2/5a9f0780-a6bc-11e2-885b-00144feabdc0.html#axzz2RqdcNipn

domenica 21 aprile 2013

Beppe Grillo, perché ce l'hai con me?

Personalmente, io non ho niente contro Beppe Grillo. Semmai è lui che ce l’ha con me. Il mio problema è che in passato ho fatto politica. Sono stato addirittura consigliere comunale. E per questo sono stato mandato a fare in culo. Insieme a tutti gli altri. Nel mucchio. Per quale motivo dovrei votare per qualcuno che, a parti invertite, non voterebbe mai per me? Perché dovrei accordare la mia fiducia a chi non si fida di me? La politica attiva, per quanto mi riguarda, è una pagina chiusa. Non ricordo neppure quando è stata l’ultima volta che sono andato a votare. Quest’anno però avrei votato. Per Bersani. Non per passione. Per umana simpatia. Non l’ho fatto soltanto perché sono residente all’estero, e avevo dimenticato di comunicare al consolato che nel frattempo avevo cambiato indirizzo. Però Bersani mi sta ancora simpatico. Malgrado tutto quello che è successo. Molta gente che l’ha votato, oggi gli sputa addosso. Io che non l’ho fatto invece lo difendo. Bersani è la vittima di un paese senza classe dirigente. E’ anche colpa sua, certo, se l’Italia non ha una classe dirigente. Ma è per questo che mi è doppiamente simpatico. Perché è una figura tragica. Beppe Grillo, invece, è un opportunista. Ha vampirizzato un tessuto di associazioni e movimenti attivi in tutta Italia, mettendo a disposizione uno strumento mediatico che permettesse loro di entrare in contatto. Ha messo assieme le loro battaglie, dal referendum contro la privatizzazione delle reti idriche al movimento no-Tav, miscelando il tutto con dosi massicce di antipolitica. In questo modo ha preso i voti della sinistra e ha fatto man bassa del qualunquismo di destra. Si batte per il salario minimo per tutti i disoccupati e nello stesso tempo contro il fisco. Come se i soldi per i disoccupati dovessero venire da Marte. Ha perfino proposto di trovare questi soldi togliendoli alla cassa integrazione. Io proprio non riesco ad immaginare una cosa più di destra di così. Per metterla giù facile, dice cose a cazzo. Come tutti i politici, per carità. E’ il motivo per cui non voto da anni. Lui però pretende di non essere un politico. Fa propaganda ma si vanta di non farla. Ha preso il 25 per cento dei voti ma sostiene di parlare per tutti. Pure per quelli che non l’hanno votato. Pure per me. Messo in difficoltà dall’elezione di Grasso e Boldrini, votati anche da alcuni dei suoi, ha tirato fuori dal cilindro la candidatura di Rodotà alla presidenza della Repubblica e ha ripagato il PD con la stessa moneta. E qualcuno, nel PD, c’è cascato. Rodotà è una grandissima persona e un grande intellettuale. Sono cresciuto leggendo i suoi articoli, negli anni in cui Beppe Grillo gli preferiva Pippo Baudo. Però è un anticlericale come pochi. Beppe Grillo sapeva benissimo che l’area cattolica del PD non l’avrebbe mai votato. E’ per questo che l’ha scelto. Abile mossa, per carità, com’era stata abile la mossa di Bersani nel candidare Grasso e Boldrini. Mosse tattico-politiche, tanto l’una quanto l’altra. E’ un gioco, il suo, che può durare solo fino a quando rimane all’opposizione. Per governare deve allearsi con qualcuno. Se lo fa con la sinistra perde l’elettorato di destra, e viceversa se si allea con la destra. Per questo sta facendo di tutto perché PD e PDL facciano il cosiddetto governissimo. Non mi scandalizzo. E’ una tattica politica come tante altre. Ma non è nient’altro che questo: tattica politica. Una fra le tante. Beppe Grillo, sei un politicante. L’ennesimo politicante di cui il nostro Paese non aveva proprio bisogno. L’Italia non aveva bisogno dell’ennesimo partito. Di Vito Crimi o della Lombardi. L’Italia aveva bisogno di movimenti e associazioni presenti sul territorio, e tu le hai usate e strumentalizzate per costruirti il tuo partitino. Bravo. Bella mossa. Però a me sta più simpatico Bersani. Adoro la sua assoluta mancanza di carisma. Il suo disperato tentativo di galleggiare tra i baciapile e Nichi Vendola. La sua consapevolezza che l’Italia è l’ultima ruota del carro tra i paesi occidentali, e che se un giorno Barack Obama dovesse decidere di invadere… che ne so… la Slovacchia, noi saremmo costretti ad andargli appresso. Bersani mi piace perché davvero non sa che minchia fare. Perché se dice una cosa di sinistra, tipo che quello che serve è più stato e meno mercato, lo spread schizza a livelli himalaiani. Se invece si sbilancia troppo a destra gli scappa via l’elettorato. E così sta zitto, e prende sberle da destra e da sinistra. Caro Bersani, se hai bisogno di qualcuno che ti raccomandi per trovare un lavoro a Londra, fammelo sapere. Beppe Grillo no. Lui non ha bisogno d’aiuto, è uno che cade sempre in piedi. E’ passato da Pippo Baudo a vittima del sistema, da castigatore delle multinazionali (tra parentesi, l’unico Beppe Grillo che mi sia mai piaciuto) ad antipolitico di professione. A lui non lo raccomando. Manco morto. Lui mi dà fastidio perfino più di Angelino Alfano. Perché che Alfano dica minchiate è scontato. Si sa. Quando Gasparri dice qualcosa, o la Finocchiaro, nessuno davvero ci crede. Beppe Grillo invece, tra i suoi seguaci, gode ancora di un credito infinito. Ragazzi, svegliatevi. Prima che sia troppo tardi. Beppe Grillo è un politicante. Piglia voti a destra e a sinistra come solo i peggiori politicanti sanno fare. Beppe Grillo è l’uomo che ha mandato a fare in culo Bersani quando Bersani, all’indomani del voto, avrebbe fatto di tutto per allearsi con lui. Pur di fare un governo. E lo ha fatto per puntare allo sfascio, per costringere il PD ad allearsi col centrodestra e poi dire “avete visto sono tutti uguali” e lucrare un 3 per cento di voti in più alle prossime elezioni. Come un politicante qualsiasi.

sabato 9 marzo 2013

Il paese dei però

L’Italia è diventata il paese dei però. Il PD ha vinto le elezioni però le ha perse. Berlusconi è stato abbandonato da metà dei suoi elettori però dicono abbia vinto. Bebbe Grillo ha addirittura trionfato, però non vuole governare (lui è un voyeur: gli piace guardare gli altri che lo fanno). Mario Monti ha perso. Su questo non ci sono dubbi. Però non se ne parla. Non abbastanza, per lo meno. Soprattutto, non si parla di quanto la sua candidatura abbia inciso sull’esito del voto. La ragione sociale del “montiani” era chiara: non consentire al PD di vincere le elezioni. Direttamente, sottraendogli una parte dell’elettorato cosiddetto “moderato”. Indirettamente, fornendo una sponda all’UDC per evitare un accordo tra Casini e Bersani. Azzoppato il PD, ecco che Monti sarebbe diventato l’ago della bilancia. Una strategia vista di buon occhio dalle cancellerie europee, dal PPE e da una parte dell’establishment italiano: Montezemolo, il Corriere della sera, parte del mondo bancario. Un establishment che (lo ha dimostrato il voto) non conosce il Paese che pretende di guidare, e che però controlla una parte significativa dei mezzi d’informazione. Rimarcare il grossolano errore di calcolo di Monti, denunciarne l’irresponsabilità, sottolineare il ruolo che ha avuto nell’avvitamento della crisi politica italiana, vorrebbe dire non solo criticare Monti ma sconfessare se stessi. Per cui è meglio glissare, o dar la colpa a Bersani o a Grillo o al popolo italiano. Il Porcellum, l’onda montante dell’antipolitica, la crisi economica. Tutti fattori che hanno avuto il loro peso e che però si conoscevano già prima del voto, e che una classe dirigente degna di questo nome avrebbe dovuto ponderare prima di mettersi a scherzare col fuoco. La borghesia italiana ha un lunga tradizione di inettitudine. Non è mai stata capace di farsi classe dirigente e ha di volta in volta delegato a fior di delinquenti il lavoro sporco: Mussolini, la DC, Berlusconi. La candidatura di Monti è la dimostrazione che quando prova a fare da sé riesce solo a combinare disastri. La verità è che l’ingovernabilità era l’obiettivo primario di Mario Monti, di Montezemolo e del Corriere della sera. Bisognava far venire Bersani e Vendola a più miti consigli. Costringerli ad un accordo con loro. Garantirsi per sé e per gli amici una bella fetta del patrimonio pubblico che si vorrebbe privatizzare per pagare i debiti del Paese. Si sono fermati a metà strada. Il paese è ingovernabile, però l’ago della bilancia s’è perso nel pagliaio. Oggi queste stesse persono fanno appello al “senso di responsabilità” delle forse politiche. Quel senso di responsabilità che loro per primi hanno gettato alle ortiche per meschini calcoli di bottega. Avessero almeno la decenza di tacere.