Una gigantesca nube d’aria fritta ammorba i cieli dell’Europa.
Viene dall’Italia, sospinta da venti africani. Quel che resta di Silvio Berlusconi brucia lentamente: una mistura nauseabonda di lardo, cerone, tintura per capelli, l’incenso e l’acqua santa con cui copriva il profumo pesante delle bagasce, olio crismale, botox e viagra.
Intellettuali soi-disant liberali alimentano il fuoco gettando in fretta nel braciere tutte le stronzate che hanno scritto negli ultimi 20 anni. Le paraculate, gli spericolati sofismi, il cerchiobottismo opportunista, il gattopardismo di seconda mano con cui hanno difeso l’indifendibile.
Rivolgono al fu Silvio l’ultima preghiera (o forse la penultima, chi lo sa), supplicandolo di farsi da parte. Gli danno consigli da servi: per il suo bene. Vuoi la riforma della giustizia? Allora non pretenderla in maniera così gridata e smaccata, continua a sostenere il governo delle larghe intese e se son rose fioriranno. Lo ha scritto, con meno anacoluti e più prudenza, il direttore del Corriere della sera il 3 di agosto. Invece di dirgli semplicemente: sei un delinquente prego accomodati.
Oppure indulgono nella perversione preferita dagli italiani. Il provincialismo. Con che goduria i maggiori quotidiani hanno ripreso i titoli dei media internazionali. E tutti a dire (italiani e forestieri) che solo da noi possono succedere certe cose.
Essendo in realtà incapaci di flagellarci da soli lasciamo che siano gli altri a farlo. A ci piace assai. Dimmi che sono un porco, dimmi che sono una troia. E’ così che funziona: nessuna perversione può dare piacere se non si abbina e combina con la consapevolezza del peccato.
Perché il gioco erotico funzioni occorre, è ovvio, un modello di purezza. Uno stereotipo d’onestà virginale da contrapporre allo stereotipo della nostra sozzura. Per noi italioti, questo modello è rappresentato dall’Europa. Dalle mitiche classi dirigenti europee.
Ve l’immaginate un Berlusconi in Francia o in Gran Bretagna o in Germania? L’avrebbero già mandato via a calci. Tutto vero. Sacrosanto. Perfino scontato. Talmente scontato che puzza d’aria fritta.
Viene voglia di dare testate al muro.
Santo Dio, come si fa a non vederlo? A non dirlo? A non urlarlo a pieni polmoni?
Volete sapere la vera, sostanziale differenza tra l’Italia e i paesi europei che amiamo prendere a modello? Tra Berlusconi e i leader politici di codesti paesi? L’onestà? Ma fatemi il piacere!
Dal dopoguerra ad oggi, mai l’Europa ha avuto una classe politica più corrotta dell’attuale. L’Europa, non soltanto l’Italia. Hanno venduto l’anima dell’Europa, di ciò che l’Europa avrebbe potuto e dovuto essere, ai delinquenti della finanza.
Chi, esattamente, dovrebbe farci la morale? David Cameron o i suoi predecessori Tony Blair e Gordon Brown, che hanno trasformato la Gran Bretagna nel più grande paradiso fiscale d’Europa?
Nicolas Sarkozy, l’uomo che festeggiò la sua prima elezione sullo yacht del finanziere Vincent Bolloré?
La presidentessa del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che al summenzionato Sarkozy scriveva lettere degne della Santanchè (Nota 1) e che da ministro delle Finanze elargì quel petit Berlusconì di Bernard Tapie della bellezza di 400 milioni di euro (pubblici) a compensazione delle sue presunte disgrazie? (Nota 2)
L’attuale president Francois Hollande, beccato con i pantaloni abbassati nel bel mezzo delle sue tirate contro i ricchi che non pagano le tasse, quando si scoprì che il suo ministro delle Finanze e il tesoriere della sua campagna elettorale avevano entrambi conti in banca alle isole Cayman? (Nota 3) Dall’Olanda, tanto occhiuta quando si tratta di giudicare i conti pubblici altrui quanto dimentica del proprio ruolo di paradiso fiscale? (Nota 4)
Il Financial Times? Ah ah ah!
Il gruppo editoriale proprietario del Financial Times (e dell’Economist) si chiama Pearson plc. Traduco da “The Great Tax Robbery. How Britain became a tax haven” (La grande rapina delle tasse. Come la Gran Bretagna divenne un paradiso fiscale) di Richard Brooks, edito da Oneworld.
“Nel novembre 2009 una lettera della Pricewaterhouse Cooper al fisco lussemburghese rivelò che il gruppo voleva investire 587 milioni di dollari negli Stati uniti, nel settore dei libri didattici, inizialmente attraverso uno schema in cui una compagnia britannica chiamata Embankment Finance LTD (EFL) avrebbe costituito una filiale in Lussemburgo. La EFL di Londra avrebbe trasferito i soldi alla sua filiale lussemburghese, che li avrebbe poi investiti in un’altra società del granducato, chiamata Pearson Luxembourg Nr. 2 srl, in cambio di azioni di quest’ultima compagnia. La Pearson Luxembourg Nr. 2 srl., a sua volta, avrebbe prestato i soldi a un’altra società lussemburghese, FBH, che a sua volta li avrebbe reinvestiti per il business americano”.
Vi gira la testa? Non preoccupatevi, non è colpa vostra. Lo scopo era proprio questo: far girare la testa alle agenzie delle entrate inglesi e americane e non pagare le tasse. L’autore del libro da cui ho tratto questo passo, Richard Brooks, è andato a visitare la sede della filiale lussemburghese dell’editore del Financial Times, al numero 17 della Rue Glesener. Traduco: “La sede legale era una stanza sopra un negozio d’articoli sportivi dalle parti della stazione centrale di Città del Lussemburgo. Vi potei accedere solo dopo numerose violazioni di domicilio fatte invocando l’interesse pubblico, in cima ad una rampa di scale scarsamente illuminate, dove il nome di uno dei maggiori gruppi editoriali del mondo si trovava in un foglio di carta in formato A3 insieme ad altre 17 società, attaccato con delle puntine da disegno ad una di quelle bacheche che di solito si trovano nelle case degli studenti. Ovviamente non era stata messa lì per essere vista da qualche estraneo, tanto è vero che quando bussai alla porta non mi accolsero voci di benvenuto. “Com’è arrivato fin qui? Chi le ha aperto la porta?” abbaiò lo scozzese che gestiva la CPC Business Services srl, una delle centinaia di società per la gestione di servizi finanziari che fanno il loro remunerativo lavoro nei sottoscala lussemburghesi. Nella fattispecie responsabile, a quanto pare, di sbrigare le scartoffie della casa editrice del Financial Times”.
Tutti i giornali italiani che hanno pubblicato l’editoriale del Financial Times che dava del buffone a Berlusconi, condannato per evasione fiscale, dovrebbero altresì pubblicare queste righe. Solo solo per completezza d’informazione.
Non difendo Berlusconi. Solo i suoi cortigiani mi fanno più ribrezzo di lui. Difendo il mio essere italiano. Difendo la mia storia, la mia cultura, le mie radici. E come Francesco De Gregori, anch’io ho avuto i miei due minuti di berlusconismo: quando ho visto Sarkozy e la Merkel sbeffeggiarlo. Sarkozy e la Merkel, capite? Non esattamente De Gaulle e Adenauer.
E allora qual è la differenza tra Berlusconi e gli altri leader europei? Solo una. Una soltanto.
Berlusconi è un corruttore. Gli altri sono dei corrotti. Tutto il resto è aria fritta.
Nota 1: http://www.lemonde.fr/societe/article/2013/06/17/la-lettre-d-allegeance-de-christine-lagarde-a-nicolas-sarkozy_3431248_3224.html
Nota 2: http://www.lemonde.fr/societe/article/2013/05/23/affaire-lagarde-tapie-si-vous-avez-manque-un-episode_3415548_3224.html
Nota 3: http://www.theguardian.com/world/2013/apr/03/french-tax-fraud-hollande?guni=Article:in%20body%20link
Nota 4: http://www.ft.com/cms/s/2/5a9f0780-a6bc-11e2-885b-00144feabdc0.html#axzz2RqdcNipn
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