venerdì 11 ottobre 2013

Diventiamo tutti buoni se i clandestini sbarcano morti

Sono circa 20 anni che faccio finta di scrivere un romanzo. Non perché creda davvero che un giorno lo finirò. Più che altro per darmi un tono. Il protagonista è un commissario di Polizia che si chiama Rocco Stevens. Indaga sul ritrovamento del cadavere di una ragazza, Lucia Valenti, o per meglio dire di una sua gamba. L'indagine è resa complicata dalla coincidenza temporale con l'annegamento di centinaia di clandestini. Qui pubblico, in anteprima, il capitolo sul funerale degli annegati. Non riaprivo da chissà quanti mesi il file di Rocco Stevens, perché nel frattempo ho iniziato a scrivere un altro romanzo che naturalmente rimarrà a sua volta incompiuto. L'ho fatto solo dopo la tragedia di Lampedusa. Spero mi sia perdonata l'ironia, ma l'idea era proprio quella di scrivere un romanzo drammaticamente ironico.

Capitolo Cinque
Un po’ ci sono rimasti male. Cioè s’aspettavano un imam autentico, arabesco e col turbante. Che ne so una cosa tipo Bin Laden. Invece c’è quello lì. La barba ce l’ha e pure l’aspetto turco, però è di Castellammare del Golfo. All’anagrafe fa Gaspare Pandolfo, invece il nome arabo fa più o meno Mustafà Menelik. Cioè non proprio ma gli somiglia.
E’ il presidente di non so quale associazione musulmani d’Italia. Comunque ha un documento con il visto della prefettura e il prefetto che è presente gli ha stretto la mano. Dunque tutto a posto. Lo conosce.
Il problema è che dei 156 morti annegati più Lucia Valenti (a tanto siamo arrivati) non c’è modo di capire chi è cristiano chi maomettano chi interista e chi juventino. Da cosa lo capisci, dal colore della pelle? Per esempio dice che in Etiopia ci sono un sacco di cristiani, se non te lo spiegano li vedi neri e per sbaglio li registri come musulmani. Insomma, è un errore legittimo.
Comunque per non offendere nessuno alla fine hanno pensato che era meglio fare tutto assieme. Cioè all’inizio facevano uno, due funerali alla volta e poi mano a mano li seppellivano. Più che altro per il caldo. Poi però ne sono arrivati più di cento in un colpo solo e a quel punto s’è deciso che per questi era meglio un funerale unico. Allo stadio comunale. Tutti insieme appassionatamente.
Anche per dare un segnale di concordia e amore universale nella tragedia. Tipo non tutti i mali vengono per nuocere eccetera. Così eccoci qua: vescovi, sindaci, prefetti, onorevoli, senatori e pure l’imam di Castellammare del Golfo. E un sacco di televisioni, è ovvio. Ma proprio tante!
Cioè, è uno spettacolo: tutte quelle bare marrone scuro, marrone chiaro, coi morti dentro avvolti in un lenzuolo bianco caso mai fossero musulmani, tutte in fila sul verde del campo di calcio e poi il sole che brilla forte sugli ottoni e i piatti e le marsine della banda musicale.
I carabinieri in alta uniforme, coi pennacchi, e i vigili urbani pure loro con quella specie di elmo. Pure la signora che l’altro giorno al bar diceva: dovrebbero affondarli tutti così gli finisce la cuccagna e la smettono di partire, pure lei è venuta e piangiucchia e s’è fatta la permanente caso mai la inquadrano. Diventiamo tutti buoni, questa è la verità, se i clandestini sbarcano morti.
Peccato non si vedano i gabbiani. Non si vedono da sotto, voglio dire, perché il campo sportivo è coperto dal mega tendone. Di sentirsi si sentono, griiic-griiic tutto il tempo, e se non fosse per la banda musicale e le preghiere e il vocio generale secondo me si sentirebbe pure il battere delle ali.
Ogni tre bare c’è un ventilatore. Cioè non è un calcolo preciso. Più o meno. Col caldo che fa e le casse da morto comprate in blocco, voglio dire non di quelle super-lusso super-zinco super-tenuta stagna, e coi morti sfatti dall’acqua di mare e dai pesci, potete immaginare l’olezzo. I ventilatori non si capisce bene a che servono, se a raffreddare le bare o a diffondere uniformemente il puzzo di cadavere oppure, siccome l’aria raso terra è raffreddata dalle ventole e quella calda va verso l’alto, a far venire l’acquolina ai gabbiani lassù.
Comunque vescovi preti e sacrestani non sembrano fare caso all’odore. Si saranno abituati, dopo che per millenni hanno costruito chiese sopra ossari e catacombe. Pure il vino e le ostie. Come se nulla fosse. Provate ad inghiottirle voi se ci riuscite. Senza un attacco di nausea, voglio dire, con la puzza che c’è.
Anzi: sembrano perfino contenti. Gli unici là in mezzo, insieme ai gabbiani. Il vescovo allarga le braccia e con la tonaca che gli penzola larga sotto le ascelle pare pronto a spiccare il volo. Sarà l’effetto della tiara, che ne so, ma sembra vero un gabbiano però mezzo viola.
Onestamente l’imam non è così felice. Muore di caldo, si vede, e non fa altro che asciugarsi la fronte e la faccia con un fazzoletto. Ogni tanto se lo porta al naso, secondo me l’ha inzuppato di profumo. Se è vero ha fatto bene.
Proprio adesso il vescovo sta parlando tipo di tolleranza religiosa. “Guardate tutti questi nostri fratelli che si sono addormentati nella speranza della resurrezione – dice – vi sfido a capire dai loro volti, dai loro occhi chiusi nell’eterno riposo, dalla serenità che solo il sonno dei giusti può dare, da tutto questo vi sfido, o uomini, a capire quale nome avesse il loro Dio eccetera eccetera”.
Questo sta dicendo, magari non proprio parola per parola ma il senso è questo. Perché negarlo o vergognarsene: quando ha detto “o uomini”, che poi l’ha praticamente gridato, Rocco Stevens ha sentito un brivido dappertutto. Cioè a tutti piace essere scettici o strafottenti, ma di fronte a certe cose viene la pelle d’oca e non c’è niente da fare.
E’ più o meno a questo punto che l’imam casca per terra. C’è lì il prefetto che cerca di reggerlo e siccome non ci riesce lo molla per non finire a terra appresso a lui. Però insomma gli evita la caduta a pera. Più che altro gliela attutisce un po’, se no sai la botta.
Il vescovo gira appena la testa a sud-est e continua a predicare. Cioè, è vero quello che dice e forse ci crede perfino, l’amore universale la tolleranza religiosa e compagnia cantando, però lui è bello sontuoso e con la tiara supera i due metri mentre l’imam di Castellammare del Golfo è piccolo e d’aspetto malaticcio e poi (cavolo!) lo sappiamo tutti che è un prete finto, cioè è una specie di macchietta dai. Ma chi ci crede? Insomma, un vescovo non è che può interrompere una funzione solenne perché un mezzo musulmano s’è intossicato di profumo fino a svenire.
*****
Tutti avremmo voglia di vivere in un mondo perfetto. L’ultimo dell’anno, il 31 di agosto alla fine delle ferie, a volte di sera l’attimo prima di addormentarci. Cioè, chi è che ogni tanto non ci pensa? Ai fioretti di san Francesco e così via.
Voglio dire: non è per non credere al vescovo, per carità le sue parole sono bellissime e forse ci crede perfino lui che certo qualche imbroglio deve averlo fatto per diventare vescovo. Cioè, va bene la poesia ma lo sappiamo tutti che nella chiesa le cose funzionano come nel resto del mondo. Ok cambiamo discorso.
Lui però (lui Rocco Stevens) era presente quando hanno ripescato gli ultimi 80 cadaveri. Era domenica, la spiaggia stracolma di persone, ombrelloni, secchielli e palette. La corrente, non so come, aveva sbattuto i cadaveri tutti da un lato della piccola baia, così i bagnanti non ebbero bisogno di uscire dall’acqua ma solo di evitare l’angolo della spiaggia inquinato dai morti.
L’unica cosa fu che lo stabilimento balneare più vicino, per rispetto, abbassò un poco il volume della musica, però non poté spegnerla del tutto perché era appunto domenica e avevano già le prenotazioni per il corso di pilates. Cioè, gli stabilimenti lavorano solo d’estate, giugno luglio agosto, e le domeniche sono solo 12. Ognuno ha le sue ragioni, a criticare col portafoglio degli altri siamo bravi tutti.
Vigili del fuoco, uomini della protezione civile, alcuni dipendenti dell’azienda della nettezza urbana con contratto a tempo determinato e poi naturalmente poliziotti carabinieri eccetera. Erano loro a dover raccogliere i cadaveri e a infilarli nei sacchi, mentre i bagnanti stavano là con l’acqua all’altezza dell’ombelico, fermi immobili a godersi lo spettacolo per non dire di quelli affacciati alle ringhiere degli stabilimenti.
Ad un certo punto fu proprio lui (lui Rocco Stevens) ad incazzarsi di brutto col comandante della capitaneria di porto. Cioè, era una cosa insopportabile: loro lì a ripescare gli annegati e le moto d’acqua avanti e indietro a sollevare onde e schiuma di cadavere. E che cazzo, gli disse, almeno fate un cordone di motovedette, gommoni, che ne so quello che avete, pure i canotti se serve! Insomma non è possibile che uno sta lì ad un metro da un africano in decomposizione e un coglione che si deve divertire per forza te lo fa sbattere addosso che pare un film dell’orrore.
A uno per poco non l’arrestarono. Siccome non voleva smetterla cominciò a dire il diritto di cronaca qua il diritto di cronaca là, e tutto perché voleva scattare fotografie col cellulare, figuratevi. Leggono le cose sui giornali e manco capiscono il significato: vieni a pescare i morti, coglione, e vedrai che meraviglia il diritto di cronaca. Peccato non l’abbiano arrestato veramente.
Si perde la fiducia nell’umanità. Già ne ha poca, uno che fa il mestiere suo (suo di Rocco Stevens), nel senso che per un poliziotto fidarsi è bene ma non fidarsi eccetera. Questa però è una cosa più interiore, di quelle che strappi il vangelo e con le pagine ci fai gli aeroplanini di carta. Uno schifo, va, tutte quelle panze bianche, gli ombrelloni a spicchi, i pedalò e loro invece costretti a fare i beccamorti.
Pure adesso, voglio dire. Il vescovo che continua a vagheggiare e la puzza di cadavere che solfeggia l’atmosfera e un caldo che farebbe diventare stitiche le anime dei santi. E gli unici a far finta di ascoltare sono sempre loro: poliziotti vigili eccetera.
Anche i giornalisti, cioè, una foto qui una là, un paio di appunti e via, quanto mi piacerebbe vederli dritti sull’attenti senza manco potersi grattare. Cioè, mi piacerebbe veramente perché intanto che loro scrivono e predicano che al confronto il vescovo è un dilettante, Rocco Stevens e compagnia diventano cretini: un giorno ci ordinano di ributtare a mare gli sbarcati un altro dobbiamo portarli a terra ma solo se sono morti, e siccome coi defunti non si sa perché bisogna essere più indulgenti dobbiamo stare sull’attenti sotto il sole la pioggia e la merda di gabbiano. Cioè, dico io: ad essere rigorosamente, aritmeticamente e geometricamente sinceri, non sarebbe meglio essere indulgenti direttamente coi vivi? Solo solo per risparmiarsi la parte da cretini.
Una caldo allucinante il vescovo che con tutto il rispetto se la stramena in pubblico l’imam siculo-maomettano che annaspa mentre un carabiniere cattolico romanista lo sventola col corriere dello sport i giornalisti eccitati dall’evaporazione dei cadaveri e noi in divisa a fare le belle statuine.
Onestamente, quando i gabbiani trovano la strada e si strafogano a centinaia sotto al tendone che sembrano pipistrelli di venti chili e proprio non hanno paura dell’uomo e si mettono a beccare le casse da morto, e tutti dico tutti scappiamo gridacchiando, onestamente per noi in divisa è un specie di sollievo. Almeno il sangue torna a circolare e i piedi gonfi di caldo sentitamente ringraziano. Non dovrei dirlo ma il primo è lui (lui Rocco Stevens) a scappare via ridendo che pare un bambino. Saltella, proprio, e fa “uuuuuuuh uuuuuuuh” e ride come uno scemo. Meno male che tutti pensano a scappare e nessuno se ne accorge. Meno male vero, va.

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