giovedì 11 febbraio 2010

Abusivismo a Favara

Questo articolo risale al febbraio del 2006 e mi è tornato in mente dopo il recente crollo di una casa nel centro storico di Favara che ha causato la morte di due bambini. E' stato originariamente pubblicato su Centonove.

Il comune di Favara è noto alle cronache soprattutto per il gran numero di imprese edili: addirittura 623, ovvero una ogni 48 abitanti (che sono all’incirca 30.000). Un dato, questo, che venne evidenziato nell’ottobre del 2004, in occasione della “visita” della Commissione Parlamentare Antimafia in provincia di Agrigento.
Non è una caso che proprio a Favara vada di moda l’espressione “fare soletta”: ossia buttar giù una gettata di cemento armato. Facendo “soletta”, a partire dalla metà degli anni ’60 è nato un intero quartiere abusivo, conosciuto come Favara Ovest, oggi abitato da quasi 5.000 residenti.
Nulla di diverso da quanto accaduto in molte altre parti della Sicilia, se non fosse per un particolare: il quartiere di Favara Ovest, infatti, a dispetto del nome, si trova al di là dei confini comunali. In territorio di Agrigento.
Nei 40 anni ormai trascorsi dalle prime “solette”, in quel quartiere è nata e cresciuta almeno una generazione di favaresi. Molti tra costoro risultano genericamente residenti in contrada Monte Saraceno, un po’ giocando sull’equivoco di un’area che anche nel versante agrigentino è nota in questo modo.
Da anni il Comune di Agrigento e quello di Favara “trattano” per un definizione della vicenda, tra accelerazioni e crisi diplomatiche. L’ultima è esplosa martedì 21, quando è naufragato l’ennesimo tentativo di trovare un accordo. Il problema è quello della contropartita: in cambio del territorio di Favara Ovest, infatti, gli agrigentini vorrebbero la cessione di una parte della zona industriale del comune confinante, in contrada San Benedetto, occupata da imprese del capoluogo.
Già nel 1997 i consiglieri comunali di Agrigento avevano deliberato in tal senso, ma i loro colleghi favaresi avevano lasciato cadere la questione senza portarla al voto. All’epoca la legge prevedeva che le cessioni di territori tra i comuni dovesse essere deliberata congiuntamente dai consigli comunali interessati. Oggi è invece la legge regionale 30 del 2000 a prevedere, dopo la deliberazione dei consigli, un referendum popolare che coinvolga i residenti delle aree interessate.
Una procedura che, al di là delle diatribe politiche, in questo caso si scontra con una difficoltà di fondo: in teoria, gli abitanti di Favara Ovest dovrebbero votare nella qualità di residenti di Agrigento, dal momento che è quest’ultimo comune a cedere una parte del proprio territorio. Solo che gli abitanti in questione, pur vivendo legalmente ad Agrigento, risultano all’anagrafe residenti a Favara.
Effetti collaterali del “fare soletta” come e dove capita. Per aggirare questo ostacolo, il parlamentare regionale dei Verdi Calogero Micciché aveva presentato un emendamento alla Finanziaria regionale inserito nel maxi-emendamento votato dall’ARS il 19 gennaio. Un emendamento che prevedeva lo scambio per legge dei terreni, in deroga alla L.R. 30 del 2000, consentendo la votazione ai cittadini interessati previa inscrizione “presso degli appositi elenchi”. Per superare i problemi legati alla residenza, l’iscrizione all’elenco era consentita “a tutti i proprietari o locatari di immobili ricadenti nei territori” interessati.
La proposta di Miccichè aveva inizialmente trovato il consenso dello stesso governatore Cuffaro. Per un motivo ben preciso: oltre alla risoluzione della questione dei confini tra Agrigento e Favara, infatti, prevedeva uno scambio di territori tra la stessa Agrigento e il comune natale di Totò Cuffaro. A Raffadali ci sono due contrade, Modaccamo e Safo, che catastalmente appartengono al capoluogo ma sono abitate da raffadalesi, e si trovano inoltre a circa 4 chilometri da Raffadali e a 25 da Agrigento. Anche in questo caso c’era un problema legato alla residenza legale degli abitanti, in tutto simile a quella di Favara Ovest.
All’ultimo momento, in aula, il governo ha però ritirato l’iniziale consenso, al punto che a Raffadali ne è nata una vera e propria guerra di manifesti con reciproche accuse tra i Verdi e l’UDC.
Pare che dietro questo improvviso voltafaccia ci sia la mano del deputato favarese di Alleanza Nazionale Giuseppe Infurna. Dovuto forse, da una parte, alla volontà di evitare che Calogero Miccichè potesse vantarsi di un altro titolo di merito dopo la concessione dei contributi ai proprietari di immobili danneggiati dalla frana di Agrigento del 1966, dall’altra dal fatto che il consiglio comunale di Favara, come poi è stato evidente martedì 21, non vuole cedere agli agrigentini una parte della propria zona industriale.
Oggi il sindaco di Favara Lorenzo Airò, alla guida di una giunta di sinistra con un consiglio comunale nella quasi totalità in mano alla Casa delle Libertà, commentando la mancata approvazione dell’emendamento Miccichè parla di un’occasione perduta. Anche perché si trova in una situazione assai imbarazzante: il quartiere di Favara Ovest è infatti in gran parte privo di opere di urbanizzazione, ed è perfino con un certo timore che racconta di avervi appaltato la realizzazione di un tratto delle rete fognante (“Non so nemmeno se mi conviene dirlo” dichiara). Il paradosso è infatti che la sua giunta si trova a dovere eseguire lavori in quello che, legalmente, è il territorio di un altro comune.
Un paradosso che salta agli occhi spostandosi qualche chilometro a Sud, in località Cannatello. Si tratta di una frazione balneare di Agrigento, appena ad Est di San Leone. Anche qui i proprietari delle abitazioni sono per il 90 per cento favaresi. Eppure, in riva al mare, c’è un vecchio bunker di cemento armato risalente alla seconda guerra mondiale, su cui spicca una targa commemorativa che lo stesso sindaco Airò ha posto nel 2003 in onore di Mohamed Abid, un tunisino che annegò li di fronte dopo aver salvato la vita di due bambini e avere tentato, inutilmente ed eroicamente, di salvarne un terzo. Possibile che un sindaco ponga una targa in territorio che non gli appartiene? Sì, perché in realtà il lido di Cannatello, sulla carta di Agrigento, è stato ceduto in concessione, dal Demanio Marittimo, al comune di Favara. Che ogni estate vi organizza manifestazioni musicali e ha sistemato una piccola piazza in riva al mare. Praticamente un’enclave. Così vanno le cose, nella provincia che non riesce a sottrarsi al luogo comune di aver dato i natali a Luigi Pirandello.

Quando gli alpini comandavano a Lampedusa

Chi protegge Lampedusa dai suoi protettori? E’ una domanda che sull’isola, da qualche mese, si stanno facendo in tanti. Lampedusa, si sa, è condannata ad una perenne emergenza. Agli atavici problemi dell’isolamento geografico, da qualche anno s’è aggiunto quello, drammatico, dei continui sbarchi dei clandestini. Un’emergenza che il piccolo comune non poteva certo affrontare da solo, tanto che dal 2004 è stato affiancato dalla Protezione civile.
Il Commissario delegato è il direttore del dipartimento, Guido Bertolaso, che però di volta in volta nomina un proprio delegato. Nel 2004 toccò ad un tenente generale degli Alpini, Maurizio Cicolin, che ad un certo punto decise di improvvisarsi urbanista. Porta infatti la sua firma un’ordinanza del novembre di quell’anno con cui l’ufficiale degli Alpini approvava una variante urbanistica al Piano di fabbricazione dell’isola (come qui chiamano il piano regolatore). Oggetto della variante la realizzazione di un’area di stoccaggio per le imbarcazioni dei clandestini, allo scopo di liberare dai relitti il piccolo porto già di per sé insufficiente. Anziché scegliere un’area attigua all’attuale discarica comunale, la Protezione civile ne individuò una del tutto nuova in località Taccio Vecchio.
Una scelta che venne subito contestata da Legambiente, che nell’isola gestisce una riserva naturale: la località Taccio Vecchio ricade infatti all’interno di un Sito d’importanza comunitaria (SIC). Ciononostante la Protezione civile è andata avanti per la sua strada, tra l’altro senza neppure chiedere all’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente la valutazione d’impatto ambientale, obbligatoria per gli interventi nelle aree SIC. Per meglio dire, ha avviato l’iter per la VIA a maggio, ma solamente dopo che i lavori erano cominciati. Per la cronaca, l’appalto è stato affidato alla Edilmeccanica s.r.l. del gruppo Giuseppe Campione di Agrigento, come si legge nell’interrogazione dello scorso 4 luglio rivolta ai ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture dal deputato di Sinistra Democratica Angelo Lomaglio (interrogazione che non ha ancora avuto risposta, come risulta dal sito web della Camera).
I lavori sono consistiti in uno sbancamento e nella realizzazione di un pesante muro di contenimento in cemento armato. Iniziati nel mese di maggio, non si può certo dire che siano stati benedetti dalla buona sorte. Il 14 di quel mese, infatti, a Lampedusa è stata eletta una nuova amministrazione comunale, e soprattutto s’è insediato un nuovo sindaco, Bernardino De Rubeis dell’MPA. Il quale ha cambiato atteggiamento rispetto ai suoi predecessori e ha preso di petto la questione, procedendo tra l’altro al sequestro amministrativo del cantiere. Per il primo cittadino, l’opera è infatti abusiva.
Non bastassero i problemi politici, l’area di stoccaggio delle barche “clandestine” ne ha dovuti affrontare di strutturali. Il 26 giugno, neanche un mese dopo l’ultimazione dei lavori, un intero lato del muro di contenimento è venuto giù di schianto. Per fortuna il blocco amministrativo aveva impedito che sotto quel muro ci fossero al lavoro degli operai, o che l’area ospitasse già delle imbarcazioni, e tutto s’è risolto con un gran botto.
Alla Protezione civile non rimane altro da fare che rimuovere il manufatto e ripristinare i luoghi. Lo ha stabilito ad agosto il Servizio VIA dell’assessorato al Territorio e Ambiente, comunicando al Commissario delegato per l’emergenza a Lampedusa che non potrà rilasciare alcun parere in quanto l’ufficio può esprimersi soltanto sulle “opere da realizzare e non già realizzate”. Un’ultima nota: per l’opera “abusiva” la Protezione civile ha speso 513 mila euro.
Ma quanto costa smaltire le barche dei clandestini?
La nuova amministrazione di Lampedusa è nota alle cronache nazionali per la presenza di un assessore della Lega Nord, la signora Angela Maraventano, Del sindaco Bernardino De Rubeis detto Dino si sono invece occupate le testate regionali, perché quella dell’area di stoccaggio della località Taccio Vecchio non è l’unico motivo di polemica con la Protezione civile. In agosto, De Rubeis ha sostenuto che diversi clandestini venivano recuperati in acque internazionali e condotti comunque al centro di permanenza di Lampedusa, ingolfandolo più di quanto già non sia. Meno nota è la polemica sui costi di smaltimento delle imbarcazioni dei clandestini. A titolo di esempio, De Rubeis cita una delibera della Protezione civile da lui rinvenuta, che per il trituramento e lo smaltimento di 23 natanti impegna una somma di 166-170 mila euro, ovvero oltre 7.300 euro a barca. Un costo, a suo dire eccessivo, che gli ha fatto venire un’idea: “Voglio chiedere un finanziamento per acquistare un trituratore comunale. Costa circa 300 mila euro ma poi potremmo vendere il legno al Conai” (il consorzio che si occupa dello smaltimento dei rifiuti riciclabili). I rifiuti sono un po’ il suo cavallo di battaglia. “Appena insediato – dice – ho subito annullato un bando di gara della Gesa, la società che gestisce l’ATO rifiuti Agrigento 2. Un bando da 5 milioni di euro. Sulla gestione dei rifiuti a Lampedusa voglio vederci chiaro”. Nel frattempo, chi l’avrebbe mai detto, la vicenda dell’area di stoccaggio di località Taccio Vecchio ha visto nascere un’inedita alleanza tra un primo cittadino dell’MPA e Legambiente, un partito e un’associazione che si trovano su fronti opposti in diverse parti della regione.

(Originariamente pubblicato sul settimanale Centonove nel settembre 2007

Vi ricordate la coppa America di Trapani?

E adesso che succede? La domanda è d'obbligo, dopo che il ministero dell'Ambiente si è espresso in termini negativi sulle opere realizzate nel porto di Trapani in occasione della Louis Vuitton Cup del 2005.
La competizione velica, che serve a selezionare le barche che si sfideranno nella Coppa America, fu una grande vetrina internazionale per la città tra i due mari. Si svolse tra il 29 settembre e il 9 ottobre di due anni sullo sfondo magnifico delle isole Egadi da una parte e del monte Erice dall'altra, e si concluse con la vittoria degli svizzeri di Alinghi e del mitico skipper Russell Coutts. Nonché con tanti ringraziamenti per Trapani e per il calore con cui la città aveva accolto i partecipanti.
Meno trionfale fu l'accoglienza delle associazioni ambientaliste. Ai loro occhi la Coppa America assunse l'aspetto di un cavallo di Troia, nella cui capiente pancia si nascondevano diversi progetti che fino a quel momento l'Autorità Portuale s'era vista respingere per insormontabili ostacoli di natura ambientale.
La chiave per aprire quella pancia fu un'ordinanza della Protezione Civile (la n. 3077 del settembre 2004) che conteneva alcune deroghe alla normativa ambientale. Deroghe che diedero il via libera ad una gara d'appalto da 46 milioni di euro per la realizzazione di una banchina di 202 metri nella zona chiamata Ronciglio e di due dighe foranee di 450 e 300 metri. Opere previste dal Piano Regolatore del Porto, a tutt'oggi sprovvisto del parere sulla valutazione d'impatto ambientale (di competenza del ministero dell'Ambiente e non della Regione perché quello di Trapani è un porto d'interesse nazionale).
La deroga in materia ambientale, in teoria, era resa possibile da un'interpretazione della normativa sulla protezione civile che assimilava di fatto una competizione sportiva come la Coppa America agli eventi calamitosi o a manifestazioni come il Giubileo.
Secondo Legambiente si trattava di un'interpretazione eccessivamente larga, dal momento che in nessun caso poteva consentire la realizzazione di opere all'interno di una Zona di Protezione Speciale (ZPS) come le Saline di Trapani, pesantemente interessata dai lavori della banchina Ronciglio.
Sempre in teoria, le opere dovevano essere funzionali allo svolgimento delle regate, ma così non fu: né le dighe foranee né la banchina erano state ultimate in tempo, tanto è vero che i lavori ripresero anche dopo il 9 settembre 2005, ultimo giorno della Louis Vuitton Cup. Ossia quando l'ordinanza della Protezione civile era ormai scaduta.
Nel novembre successivo la Procura di Trapani, sollecitata dai continui esposti di Legambiente, decise di porre sotto sequestro il cantiere della banchina, dissequestrato solo nel settembre del 2006.
Per riprendere i lavori si aspettava una decisione del ministero dell'Ambiente, arrivata infine il 30 marzo scorso. Porta la firma del direttore generale dell'ufficio per la Salvaguardia Ambientale, e rileva “la sostanziale non ottemperanza delle prescrizioni formulate” nel settembre del 2005. In attesa che l'Autorità Portuale di Trapani chieda la pronuncia sulla compatibilità ambientale del piano regolatore del porto, il ministero “invita […] a non iniziare e/o proseguire alcuna attività che modifichi lo stato dei luoghi all'interno della circoscrizione portuale”, limitandosi “al solo completamento delle opere foranee per assicurare la stabilità delle stesse dal moto ondoso, al trattamento anticorrosivo delle armature e alla messa in sicurezza dei cumuli di materiale per evitarne lo smottamento”. Anche per questo tipo di interventi, tuttavia, sarà necessario un preventivo assenso da parte del ministero.
Due le principali obiezioni: la distruzione di sette ettari di posidonia oceanica (tutelata dall'Unione Europea in quanto pianta acquatica in via di estinzione, la cui scomparsa è tra le cause dell'erosione delle coste mediterranee) provocata dalle due dighe foranee, e l'impatto della banchina Ronciglio sulla ZPS delle Saline di Trapani.
A detta del ministero, insomma, 46 milioni di euro sarebbero stati spesi per lavori che hanno provocato danni cui non sarà facile porre rimedio. Incidenti che possono succedere, se la valutazione d'impatto ambientale si chiede dopo l'inizio dei lavori.
Il provvedimento del ministero dell'Ambiente è stato preso malissimo dal sen. Antonio D'Alì, oggi presidente della Provincia di Trapani e nel 2005 sottosegretario all'Interno nonché grande sponsor politico della manifestazione: “La decisione di Pecoraro Scanio - ha dichiarato ai giornali - mortifica le aspirazioni di sviluppo della città di Trapani e non propone un percorso condiviso nell'interesse di tutti”.
E mentre D'Alì annuncia interrogazioni parlamentari, il presidente provinciale di Confidustria, Piero Culcasi, lamenta l'inadeguatezza del porto, i cui fondali sono troppo bassi per consentire l'attracco delle navi di grossa stazza.
Ben diverso il parere di Legambiente: “Ci sono voluti due anni di esposti e relazioni tecniche, alcuni sequestri disposti dall'Autorità Giudiziaria, una puntuale e complessa indagine della Sezione di PG dei Carabinieri, avvisi di garanzia per responsabili dell'Autorità Portuale, del Genio Civile Opere Marittime e dell'impresa - ha dichiarato il vicepresidente regionale Angelo Dimarca - ma alla fine la tesi da noi sostenuta da sempre è stata confermata: le opere sono state realizzate violando procedure e causando gravi danni all'ambiente. Ci attendiamo ora una celere chiusura dell'indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Trapani e l'accertamento non solo delle responsabilità di quanti hanno violato procedure e causato danni all'ambiente, ma anche di coloro che, omettendo controlli e provvedimenti sospensivi, hanno consentito che i lavori giungessero ad avanzata fase di realizzazione”.
La soluzione è adesso affidata ad un'azione di concerto tra i ministeri dell'Ambiente, delle Infrastrutture e dei Trasporti, sollecitata da Alfonso Pecoraro Scanio con una lettera che è stata spedita pressoché in contemporanea col provvedimento del suo ministero.
Gli equipaggi della più importante manifestazione velica del mondo, nel frattempo, si sono trasferiti a Valencia. Evidentemente non sanno che la Coppa America in versione trapanese, a quasi due anni dalla cerimonia di chiusura, è tutt'altro che conclusa.
(Originariamente pubblicato sul settimanale Centonove nell'aprile 2007)

La protezione in-civile

Sui giornali di oggi non si fa che parlare delle inchieste sulla Protezione civile, e dire che c'è stato un periodo in cui Guido Bertolaso era talmente sugli scudi che criticarlo sembrava blasfemo. In realtà quello che oggi chiamano "sistema Bertolaso" va avanti da anni, tra violazioni delle regole ambientali e snellimenti burocratici assai sospetti. Ebbene, in questi giorni sto mettendo un po' d'ordine tra i miei vecchi articoli e ne ho trovati due sulla Protezione civile. Uno riguardava il porto di Trapani (è dell'aprile 2007) l'altro gli sbarchi dei clandestini a Lampedusa (settembre 2007). Sono stati pubblicati entrambi sul settimanale Centonove di Messina.