Scrivono i giornali che Totò Cuffaro si sia buttato a capo fitto nel suo ruolo di parlamentare d’opposizione. “Difendo gli interessi della Sicilia – dice l’ex governatore – meglio dei deputati del PD”. Leggere questi articoli, è stato per me come un dejà vu. Vi ricordate di quando Umberto Bossi organizzò il raduno leghista sul Po? Ebbene, l’allora assessore regionale all’Agricoltura Totò Cuffaro annunciò di volersi recare a Comacchio con i prodotti tipici della nostra isola. Non so se poi davvero l’abbia fatto. Ricordo però che la cosa m’ispirò una storiella. Sono andato a ripescarla. L’idea che proprio Cuffaro s’ergesse a difensore della Sicilia mi faceva ridere già allora. Figuratevi oggi.
Ecco la storiella.
Degno di cavalcare accanto a Ettore, Enea e Lancillotto, il nostro più valente condottiero si è alfine gettato nella mischia. Totò Cuffaro, incurante delle minacce che i cavalieri di Alberto da Giussano gli lanciano dal loro tristo carroccio, sta già schierando i suoi fedeli a difesa delle insalubri acque di Comacchio.
Gli uomini, al principio, arretrano dinanzi allo schiumare dell’acqua. Sinistre affiorano dalla mefitica palude le teste di mille e mille serpi, quasi un’idra immensa si apprestasse ad emergere.
Totò Cuffaro è il solo a non indietreggiare. Roteando la spada si getta a capofitto nel mezzo delle acque ribollenti, e fa strage di serpi.
“Picciotti, anguille sono” è il suo trionfante grido si vittoria, al quale rispondono le urla di giubilo dei cavalieri, che subito si apprestano ad apparecchiare la mensa.
Ben presto le braci sono pronte, le anguille arrostite. I senza Dio locali ridacchiano ma si mantengono a distanza, ché hanno visto Totò Cuffaro in azione e temono la sua furia leggendaria.
“Perché ridete, oh senza Dio?” urla il cavaliere.
“Perché arrostite le anguille come se fossero salsicce” rispondono quelli, sempre a debita distanza ma sempre altresì piegati in due dalle risate.
Tanto sprezzante del pericolo quanto veloce nel battagliare in arguzia, Totò Cuffaro reagisce da par suo.
Con gesti rassicuranti invita i senza Dio ad avvicinarsi alla sua mensa.
“Prendete codesti frutti della nostra terra e del nostro lavoro” dice, porgendo ai senza Dio bigonce stracolme di fichi d’India.
“Mangiate pure” dice ad alta voce, perché tutti possano sentirlo. I senza Dio si gettano sulle bigonce e imprudenti addentano quei frutti.
Non l’avessero mai fatto! Ignari delle fiere spine che difendono la dolcezza del frutto, i barbari padani si contorcono dal dolore e corrono verso l’acqua a distaccar gli aculei dalla proprie lingue.
E’ la volta dei nostri cavalieri di ridere. Totò Cuffaro, tanto arguto quanto saggio, però li rimbrotta: “Mai bearsi dell’ignoranza che altri hanno delle nostre abitudini: i popoli sono fatti per vivere assieme e per scambiarsi esperienze, culture e appalti”.
Appresa la lezione e commossi da quelle parole, i senza Dio padani acclamano il nostro fiero cavaliere, e subito lo proclamano loro difensore.
Questo è il racconto di come Totò Cuffaro sconfisse le truppe di Alberto da Giussano, assai superiori di numero. Perché è bene ricordare che dove non possono il coraggio e la forza bruta riusciranno un cuore puro e i più degni argomenti.
1 commento:
siamo nella società dove si premiano i corrotti e i condannati e, in generale chi opera male nel compito in cui si era stati preposti ad agire. le parole di Cuffaro non fanno altro che confermare quanto detto. buon lavoro.
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