martedì 2 agosto 2016

Europalgia

Quando il termine nostalgia fu usato per la prima volta, nel 1688, non aveva nulla a che vedere con i dolci ricordi d’infanzia o con le romantiche foto color seppia del paesello che fu.
Oggi, per noi, la nostalgia è un sentimento. Dolciastro, piacevole, e se talvolta capita che sia doloroso, è un dolore nel quale amiamo crogiolarci. Tutti proviamo “nostalgia” per gli anni che furono, e ci ritroviamo in compagnia degli amici d’infanzia o dei vecchi compagni di scuola a raccontare per l’ennesima volta, tra il divertito e il commosso, di quando cascammo dall’albero o di come riuscimmo a farla franca col professore di matematica.
Un mutamento di significato che la nostalgia ha in comune con un altro termine, a sua volta talmente irriconoscibile da esserne diventato quasi un sinonimo: malinconia.
Nell’odierno linguaggio quotidiano la malinconia è nostalgia con un sovrappiù di tristezza, meno legata a memorie particolari. E’ nostalgia di non si sa bene cosa.
Eppure, in origine, la malinconia (anzi, melanconia) era né più né meno che un sinonimo di ciò che oggi chiamiamo depressione. Il malinconico era un depresso, non un nostalgico. E il nostalgico, a sua volta, era un malato.
Johannes Hofer, lo studente di medicina svizzero che nel XVII secolo coniò il termine nostalgia, la definì “una malattia di origine demoniaca”. Non a caso il suo secondo elemento etimologico, -algìa, deriva dal greco “algos”, dolore. Come in nevralgia o in lombosciatalgia.
Il primo elemento è nóstos, ritorno. La nostalgia, letteralmente e storicamente intesa, è il dolore del ritorno. Colpiva i mercenari svizzeri che combattevano in giro per l’Europa e rimanevano per anni lontani da casa. Alcuni provavano un dolore così insopportabile da spingerli alla depressione e al suicidio.
La nostalgia è la malattia dell’Europa di oggi. La memoria individuale e la memoria storica non sono sovrapponibili. Non coincidono. Ciò che in realtà dolorosamente rimpiangiamo, ciò che disperatamente vorremmo indietro, è la stabilità del passato, la sicurezza che deriva dal suo essere per l'appunto passato.
Noi europei, oggi, siamo come quegli adolescenti che vorrebbero tornare bambini, e che hanno dimenticato di quando, bambini, volevano crescere in fretta, lasciarsi alle spalle le ansie dell’infanzia e diventare adulti. Siamo come quegli adulti che vorrebbero tornare adolescenti, e che dalla propria adolescenza hanno rimosso le terribili insicurezze, l’instabilità emotiva, il terrore di non essere all’altezza.
Il passato che rimpiangiamo non è quasi mai il nostro vero passato. E’ un passato edulcorato, corretto, riscritto. Vorremmo indietro il bambino senza l’acqua sporca: lo stato sociale di un tempo senza le guerre mondiali che ne furono l’origine; le fabbriche di una volta senza la schiavitù della catena di montaggio; il posto al municipio senza la leccata al ministro di turno; i polacchi a casa loro senza il confine russo sulle rive della Sprea; Enzo Bearzot e Paolo Rossi senza Nitto Santapaola e la bomba alla stazione di Bologna.
La nostalgia è la malattia di Ulisse. L’Ulisse di Omero non è quello di Dante. Non vuole esplorare il mondo, allargare le sue conoscenze. Lo fa solo incidentalmente, e solo perché costretto dal fato e dagli dei che congiurano contro di lui e lo spingono ogni volta su una rotta che lui non ha scelto. Ciò che desidera è tornare alla sua Itaca.
Ma sarà davvero tutta colpa del fato? Ha davvero dimenticato, Ulisse, l’inquietudine che a suo tempo lo spinse a imbarcarsi e ad andare a combattere sotto le mura di Troia? E’ anche Ulisse della razza di chi anela tornare a casa perché si è dimenticato di quando il suo più grande desiderio era fuggirne via?
E noi europei, eravamo davvero così felici, quando eravamo felici? Perché mai, allora, la maggioranza di noi accolse con entusiasmo l’unione europea e il crollo del muro di Berlino? Il fatto è che io ricordo (un inganno della memoria?) di quanto felici fummo all’epoca.
Di “vittorie mutilate” è piena la storia dell’umanità e il futuro non mantiene mai le promesse che aveva fatto in passato. Eppure, per quanto possiamo odiare il futuro nel momento in cui diventa presente, dobbiamo avere per lui il massimo riguardo. E’ il tempo che bene o male saremo costretti a vivere.
La nostalgia per un’Europa Felix che non è mai esistita è invece, come avrebbe scritto Johannes Hofer, una “malattia di origine demoniaca”.
Chiamatela, se volete, europalgia.

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