sabato 7 maggio 2016

C'era una volta il pianeta Terra. Maggio 2016. Prima settimana

Yukako Fukushima è una chirurga estetica di Osaka. Lavora presso la clinica Kawamura Gishi, nel pieno centro della seconda città giapponese per numero d’abitanti.
E’ specializzata nella fabbricazione e nell’impianto di dita artificiali. Combinando venti diversi colori, è in grado di ottenere oltre mille tonalità di rosa. Il risultato è che le protesi sono assolutamente identiche alle dita originali.
I suoi clienti sono soprattutto ex-membri della yakuza, la potentissima mafia nipponica. Il taglio della prima falange del mignolo, in giapponese, si chiama yubitsume (letteralmente, accorciamento del dito). E’ una punizione rituale che i trasgressori alle regole dell’organizzazione devono auto-infliggersi.
La dottoressa Fukushima lavora in collaborazione con la polizia. Le sue protesi servono ai membri della yakuza che vogliono rifarsi una vita e, per riuscirci, devono nascondere quel vecchio, riconoscibilissimo marchio d’appartenenza.
Negli ultimi anni è stata oberata di lavoro. Il suo successo professionale è un segno della fase di decadenza che la mafia giapponese sta attraversando. Aveva 80 mila membri nel 2009, ridottisi oggi a 53 mila.
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Secondo uno studio dell’Ufficio delle statistiche sul lavoro statunitense (Bureau of Labor Statistics), gli utenti americani di Facebook trascorrono mediamente cinquanta minuti al giorno sui social media. Solo la Tv batte Facebook (2,8 ore al giorno). La lettura si ferma a 19 minuti, Youtube a 17 (Twitter a un solo, miserabile minuto). Ciò spiega il successo economico della società di Mark Zuckerberg. Più tempo un utente passa su Facebook, più il gestore è in grado di tracciarne le preferenze e di personalizzare le inserzioni sulla sua pagina. Una manna per i pubblicitari, che infatti stanno dirottando i loro investimenti dalla stampa e dalla TV tradizionali (troppo generaliste) in direzione di Facebook.
Il trend è in crescita. Cinquanta minuti al giorno significa che, nel corso di un mese, un utente americano medio trascorre un giorno intero a “scrollare” Facebook. Dodici giorni all’anno. Che diventano tuttavia molti di più nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni. Senza ovviamente contare che al totale delle 24 ore giornaliere andrebbero sottratte quelle dedicate al sonno e al lavoro. Fatelo, e l’incidenza di Facebook sul nostro tempo libero finirà con l’assumere dimensioni inquietanti.
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Gli elettori di Donald Trump sono in prevalenza maschi, bianchi, diplomati e con un reddito inferiore ai 50 mila dollari all’anno. Curiosamente ma non troppo, la stessa fascia di reddito dei sostenitori di Bernie Sanders, il rivale di sinistra di Hillary Clinton.
Trattasi di gruppi sociali che un tempo sarebbero stati definiti “classe media” (o classe lavoratrice, nella versione americana. I veri poveri, negli Stati uniti, dove occorre registrarsi alle liste elettorali per votare, fanno parte della fascia di reddito in questione ma sono di fatto esclusi dal computo dell’elettorato attivo).
Il sistema elettorale americano è stato modellato sulla classe media, e lo stesso vale per le strategie politico-elettorali dei Repubblicani e dei Democratici (definiti, un tempo, partiti pigliatutto). Quello che sta accadendo negli Stati uniti è solo l’antipasto di una crisi della classe media, devastata dalle disuguaglianze sociali, che sta manifestandosi in tutta la sua gravità nella quasi totalità dei paesi occidentali.
L’élite del partito democratico, rappresentata da Hillary Clinton, sopravvive ancora grazie all’apporto delle minoranze etniche; quella del partito repubblicano è stata letteralmente spazzata via dal ciclone Donald Trump.
Il mondo non sarà mai più come era.
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La cosa più divertente di un’eventuale vittoria di Donald Trump è che toccherebbe proprio a lui, al candidato che ha basato gran parte del suo successo sull’ostilità nei confronti degli immigrati, sul voler costruire muri e su tutto il resto della paccottiglia populista, ad aprire le porte della Casa bianca alla prima first lady non americana.
Sua moglie si chiama Melania Knauss, all’anagrafe Knavs (cambiò il suo cognome quando divenne una top-model). E’ nata a Novo Mesto nel 1970, all'epoca in cui la Slovenia era ancora soltanto una regione della ex-Jugoslavia.
E’ cittadina americana dal 2001, dopo il matrimonio con Trump. La cui prima moglie, tra perentesi, era un’altra modella nata nell’ex Cecoslovacchia.
L’amore non conosce limiti né, a quanto pare, frontiere.
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Il Lussemburgo è un piccolo paese di poco più di 500 mila abitanti, incastonato tra la Francia, il Belgio e la Germania. E’ un noto paradiso fiscale, circostanza che misteriosamente non gli impedisce di esprimere un presidente della Commissione europea che per giunta si permette, senza il minimo senso del ridicolo, di dare lezioni di responsabilità fiscale agli altri paesi dell’Unione.
Eppure, nel giro di cinque anni, questo microscopico staterello potrebbe diventare una delle potenze minerarie più importanti del mondo.
A quanto pare, il Gran Ducato ha un ente spaziale che ha appena sottoscritto due accordi con altrettante società aerospaziali: la californiana Deep Space Industries e la Planetary Resources (che annovera tra i soci Larry Page e Eric Schmidt di Google e il fondatore della Virgin, Richard Branson).
L'obiettivo è quello di lanciare entro il 2020 la prima missione mineraria nello spazio profondo, allo scopo di prelevare minerari rari e preziosi da asteroidi e quant’altro per mezzo di navicelle spaziali prive d’equipaggio.

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