Riassunto delle puntate precedenti.
Nel 2011, quando scoppiò la guerra civile in Siria, centinaia di cittadini europei d’origine araba abbandonarono la pace delle loro case per andare a combattere al fianco dei ribelli.
Si era nel pieno della cosiddetta “primavera araba”: le masse popolari della Tunisia, dell’Egitto, della Libia e adesso della Siria si erano sollevate contro i loro tiranni. Nei primi tre casi con apparente successo.
Ce ne fu perfino una quinta, di primavera araba, molto meno nota delle altre. Anche in Bahrein, infatti, gran parte della popolazione si sollevò, ma dal momento che quel piccolo paese rientra nell’area d’influenza dell’Arabia Saudita, quest’ultima poté tranquillamente donare al regime di Manama le armi acquistate in Gran Bretagna e in Francia affinché sedasse la rivolta. Un conto sono i tanto celebrati valori dell’Occidente, un altro le più mondane esigenze della realpolitik e della geopolitica.
Qualcuno si spinse fino al punto da associare quei giovani arabi d’Occidente, andati a combattere il tiranno Assad figlio, alle migliaia di volontari che negli anni ’30 del secolo scorso partirono dalla Gran Bretagna, dalla Francia e da altri paesi europei per farsi ammazzare in Spagna dalle truppe di Francisco Franco.
In entrambi i casi si trattava di schierarsi dalla parte della giustizia, dei difensori della democrazia oppressa.
Per un po’, i leader occidentali videro di buon occhio quelle sollevazioni popolari (Barhein escluso, ça va sans dire). La piccola Tunisia conta relativamente poco, Gheddafi era sempre stato un megalomane rompicoglioni, e l’Egitto sembrava promettere una svolta perfino più filo-occidentale del filo-americano Mubarak.
La questione siriana era un attimo più complicata. Sulla lavagna dei buoni e dei cattivi, il nome di Assad figlio compariva nella parte giusta. La bellissima moglie Asma è addirittura nata a Londra, ed era talmente à la page che i commercianti di Bond Street (la via Montenapoleone della capitale britannica) ancora piangono la sua assenza. Pare fosse una delle più grandi collezioniste al mondo di scarpe Louboutin da tremila euro al paio. Se questo non significa far parte della vera élite dell’Occidente, ditemi voi cos’altro.
Ciò non impediva che a Downing Street e al Quay d’Orsay il solo sentire nominare la parola Siria non evocasse ricordi di un antico, glorioso passato. I Francesi, una volta, bombardarono Damasco tre giorni di fila per sedare la rivolta dei drusi. Una goduria! Gli inglesi vanno ancora in brodo di giuggiole nel rievocare i giorni in cui De Gaulle, rifugiatosi a Londra negli anni dell’occupazione nazista in Francia, veniva richiamato all’ordine dal suo protettore Winston Churchill: “Sei vivo solo grazie a me e ancora ti ostini ad ostacolare i nostri piani in Siria. Smettila o ti taglio i viveri”.
François Hollande e David Cameron sono giovani, anagraficamente parlando. La loro età trombonesca, al contrario, è assai più elevata. Schiavi come sono delle sirene dell’alta finanza e non avendo di conseguenza nulla da offrire al loro elettorato, tutte le volte che possono si travestono da statisti. Perfino, talvolta, da protagonisti della scena mondiale. In una parodia della grandeur e dell’impero britannico (parodie, a loro volta, dell’impero romano), pensarono di potere determinare le sorti del Medio Oriente.
Si dissero pronti a sostenere i nemici di Assad figlio, incuranti di ciò che avrebbe comportato per i commercianti di Bond Street e dei dintorni di Place Vendôme. Barack Obama, al contrario, fu più prudente.
Gli Stati uniti vivono un’epoca di riflusso esofageo. Dopo un’indigestione di guerre para-imperialiste che hanno arricchito una manciata di compagnie private e impoverito una nazione, vorrebbero ritirarsi nei loro confini. Obama è la faccia più presentabile di questo fenomeno, Donald Trump quella più populista e meno raccomandabile.
Il presidente americano avrebbe voluto tenersi fuori dal pantano siriano. Damasco è troppo vicina a Bagdad per non rievocare tristi ricordi. Hillary Clinton, al contrario, appartiene alla precedente generazione politica. Fosse stato per lei, i bombardieri americani volerebbero da anni sui cieli della Libia e della Siria.
Fu così che Obama indossò i panni di Ponzio Pilato. “Fate vobis”, proclamò, e abbandonò i Cameron e gli Hollande ai loro sogni di gloria.
La differenza è visibile ancora oggi. L’Egitto (che è sotto il protettorato americano) è tornato ad essere ciò che era: un bastione dell’equilibrio geopolitico a stelle e strisce. C’è voluto un colpo di stato che ha spodestato un governo democraticamente eletto, ci sono voluti un centinaio di desaparecidos, la morte del povero Giulio Regeni, ma alla fine gli Stati uniti hanno avuto ciò che volevano. Gli europei, invece…
Gli europei, invece, non esistono. L’Europa è solamente l’escrescenza infetta di antichi imperi coloniali, troppo gelosi delle proprie miserabili guarentigie per essere consapevoli di ciò che l’Europa unita potrebbe essere.
L’Europa è il fantasma del povero Muammar Gheddafi, sodomizzato con una baionetta prima di essere sparato.
L’Europa è quei suoi cittadini di origine araba, europei da generazioni, che si fanno saltare in aria negli aeroporti e nelle stazioni delle metropolitane nel nome di Allah e di un fantomatico califfato. Martiri di una fede disumana che per un istante, un brevissimo, drammatico istante, si ritrovarono a combattere fianco a fianco con i leader delle potenze europee.
Ci fu un momento, nella storia del mondo, in cui David Cameron, François Hollande e i terroristi di Parigi e di Bruxelles combatterono dalla stessa parte. Tutti contro i Gheddafi e gli Assad figlio. Ignorando, gli uni e gli altri, le conseguenze delle proprie azioni.
Dio ci salvi (o Allah se preferite) da leader politici che decidono da che parte stare secondo la direzione del vento.
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