Nell’ottobre del 2012 il Fondo Monetario Internazionale pubblicò uno studio di tre paginette, all’interno del suo World Economic Outlook.
Lo firma in calce era di quelle importanti, ovvero del suo economista capo Olivier Blanchard.
Peccato che in pochi lo abbiano letto e che la grande stampa gli abbia dedicato, nel migliore dei casi, una distratta attenzione.
Certo, l’argomento era uno di quelli complicati che i giornalisti solitamente odiano perché sono difficili da riassumere in duemila caratteri.
Eppure era (ed è) un argomento su cui si poteva costruire una bella polemica. Una di quelle serie. Epocali.
Quelle tre paginette dicevano, in sostanza, che il Fondo Monetario Internazionale s’era sbagliato nel calcolare gli effetti dell’austerità sulla crescita economica mondiale.
Non certo robetta. Com’è possibile, mi chiedo, che non se ne sia discusso?
Io l’ho scoperto per caso. Ve lo racconto non per pedanteria, ma per dare un’idea di come la grande stampa spesso nasconda le cose più importanti.
Un giorno prendo la metropolitana e compro il nuovo numero della London Review of Books. È una rivista che si occupa per lo più di recensioni di libri. Prestigiosa ma di bassa tiratura. A Londra la trovate soltanto in poche librerie e in alcune stazioni della metro. Neppure WH Smith, la più diffusa catena di edicole, la vende.
C’è un articolo a firma di John Lanchester, un giornalista-scrittore inglese che qui gode di una certa fama. S’intitola “The Shit We’re In”, ossia “la merda in cui ci troviamo”.
Vi si parla della situazione economica della Gran Bretagna e a un certo punto viene citato questo nuovo studio del Fondo Monetario. Casco dalle nuvole. Ma di che cavolo sta parlando?
Mi reputo una persona mediamente informata. Leggo i giornali, come ogni bravo cittadino. Eppure non ne avevo mai sentito parlare.
Il punto di partenza è il cosiddetto “moltiplicatore”. In economia, il moltiplicatore è un coefficiente che serve a calcolare di quanto aumenta o diminuisce il prodotto interno lordo di un paese modificando una variabile macroeconomica.
Sembra complicato ma non lo è. Nell’articolo sulla London Review, John Lanchester lo spiega con l’esempio che vi riassumo: “Facciamo finta che ti capiti di trovare per strada 10 sterline. Le usi per comprare due paia di calzini di lana. Il tipo del negozio le usa a sua volta per comprare una bottiglia di vino, e il proprietario del negozio di vini per andare al cinema a vedere Le lacrime amare di Petra von Kant. Il proprietario del cinema ci compra della cioccolata, mentre il negoziante che gli ha venduto la cioccolata le usa per un biglietto dell’autobus. La compagnia di trasporti, infine, le deposita in banca”. Ebbene, quelle iniziali 10 sterline sono state spese sei volte, generando un’attività economica pari a 60 sterline. Ovvero, si sono “moltiplicate” per sei.
Torniamo adesso al Fondo Monetario Internazionale. In quello studio dell’ottobre 2012, la variabile presa in considerazione era la spesa pubblica.
L’FMI disse ai governi europei che avevano sbagliato tutti nel calcolare gli effetti negativi dell’austerità sul prodotto interno lordo dei loro rispettivi paesi (Ops!).
Avevano basato i propri calcoli su un moltiplicatore di 0,5. Ovvero, per ogni miliardo di euro “tagliati” dalla spesa pubblica, il PIL si sarebbe dovuto ridurre di 500 milioni.
In realtà, il moltiplicatore corretto avrebbe dovuto essere più alto, tra 0,9 e 1,7. Significa che quel famoso taglio da un miliardo di euro può ridurre il PIL di un paese fino a un miliardo e 700 milioni di euro.
Una bella differenza, non vi pare? Nonché un solido argomento per mettere in discussione le politiche d’austerità che stanno condannando l’Europa alla stagnazione permanente.
Ho cercato questa notizia che a me sembrava importante sulla stampa internazionale, e ho scoperto che ne avevano parlato Paul Krugman nel suo blog sul New York Times, un altro blogger sul Washington Post, il Financial Times in un paio di articoli relegati nella sezione “tecnica” del quotidiano. Nessuna prima pagina, nessun titolo di testa, nessun editoriale significativo. Nulla. Va da sé, nessun dibattito in nessun parlamento d’Europa.
Perché preoccuparsene, d’altra parte? Solo sulla carta lo scopo dell’austerità è quello di “salvare” gli Stati dalla catastrofe economica. Ciò che ha in realtà ottenuto, da quello che si è visto finora, è stato di proseguire nella politica di redistribuzione al contrario, dai più poveri ai più ricchi, che i governi europei perseguono ormai da decenni.
Volontariamente? Involontariamente? A giudicare dall’assordante silenzio con cui è stata accolta la “correzione” del Fondo Monetario, propenderei senz’altro per la prima risposta.
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