giovedì 14 luglio 2011

C'era una volta la democrazia

Mi chiedo sempre più spesso quali siano le priorità dei mezzi d’informazione. L’altro giorno, ad esempio, ho letto un inquietante articolo del premio Nobel per l’economia Amartya Sen.
Vi si legge: “E’ oltremodo preoccupante che i pericoli per le sorti della democrazia, che s’intrufolano dalla porta di servizio delle priorità economiche, non stiano ricevendo le attenzioni che meriterebbero” (The Guardian del 23 giugno 2011).
L’articolo continua: “E’ una questione molto seria da affrontare, e riguarda il modo in cui le democrazie europee rischiano di essere minate dal peso spaventosamente elevato delle istituzioni finanziarie e delle agenzie di rating, che oggi tengono le redini della politica in alcune parti d’Europa”.
Più avanti: “Le diagnosi delle agenzie di rating sui problemi economici non sono la voce della verità che pretendono di essere. E’ bene ricordare che il ruolo di queste agenzie nel certificare la salute finanziaria delle istituzioni economiche alla vigilia della crisi del 2008 è stato così negativamente rilevante che il Congresso degli Stati uniti discusse seriamente se non fosse il caso di farle finire sotto processo”.
Amartya Sen si riferisce al peso spropositato delle società di rating nell’influenzare le scelte di politica-economica dei governi e dei parlamenti europei. Quelle stesse agenzie che nel 2008 continuavano ad attribuire la cosiddetta tripla A, ovvero il massimo della solidità possibile, a società che di lì a minuti sarebbero praticamente fallite (non fossero state salvate dalla mano pubblica).
L’articolo dell’economista indiano traeva spunto dalla crisi greca (quella italiana non era ancora scoppiata), contestando l’efficacia delle politiche di “blood, sweat and tears” (sangue, sudore e lacrime) che fino ad oggi sembrano le uniche ad essere state proposte dai governi europei.
Quello che più mi ha colpito dell’articolo di Sen è stato il silenzio che l’ha accompagnato. Qui, sui giornali inglesi (non so neppure se in Italia sia stato tradotto).
Il rischio che i paesi europei perdano la propria autonomia a vantaggio di società private che ne dettano le decisioni, a me sembrava un argomento di cui discutere. Se non parliamo di questo, del rischio che le nostre democrazie smettano di essere tali, su cos’altro dovremmo disquisire?
Facciamo un esempio, questa volta parlando di noi. Il referendum del 12 giugno scorso ha dimostrato che la stragrande maggioranza degli italiani non vede di buon occhio le privatizzazioni dei servizi pubblici. E’ questa la loro volontà, democraticamente espressa. E invece…
E invece accade che maggioranza e opposizione parlamentari, tutti insieme “responsabilmente”, per rispondere a manovre speculative sui mercati si apprestano a procedere nella direzione opposta. Ossia prevedendo ulteriori privatizzazioni.
In questa sede non discutiamo se le privatizzazioni siano o non siano giuste. Personalmente credo siano quasi sempre sbagliate, ma non è questo il punto.
Discutiamo di una cosa più importante: di democrazia.
Il tema del referendum è, come detto, un esempio. Com’è un esempio l’Italia. I cittadini di tanti, troppi paesi si trovano e si troveranno nella stessa situazione: a non avere più alcuna voce in capitolo sul proprio futuro.
Nel pieno della tempesta monetaria, quasi tutta la stampa italiana si è appellata ai parlamentari di ogni partito perché si dimostrino “responsabili” e approvino la legge finanziaria.
Perfetto. Ma responsabili dinanzi a chi? Agli analisti della Merrill Lynch o di Fitch? A finanzieri che vivono nell’iperuranio dei loro grattacieli di vetro e cemento? A Warren Buffet? Oppure a chi li ha eletti?
E, ancora, responsabili di che?
Da quello che si vede, di avere sancito che l’Italia non è più una democrazia. E che forse l’Europa intera ha smesso di esserlo. E’ o non è un tema che dovrebbe essere all’ordine del giorno della libera stampa?

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